L’AFFARE AIDS – Report – Paolo Barnard

 

AZT, DDI, 3TC, inibitori della proteasi: questi sono i nomi dei farmaci più noti per la lotta all’AIDS. Sono tutti nati qui, negli Stati Uniti d’America, e ad essi è aggrappata la speranza di centinaia di migliaia di ammalati.

Ma da tempo un gruppo di autorevoli ricercatori sostiene che l’approvazione di questi farmaci è passata attraverso test incompleti e pressioni di ogni tipo. Il tutto per nascondere al pubblico che gli effetti a lungo termine degli inibitori della proteasi sono sconosciuti e che l’AZT sarebbe inefficace o, addirittura, che avrebbe accelerato la morte di migliaia di ammalati. Quest’ultima accusa è particolarmente scioccante e viene estesa anche alla classe medica ma, soprattutto, alla casa farmaceutica produttrice dell’AZT che, secondo alcuni ricercatori, sarebbe sempre stata a conoscenza della presunta pericolosità di questo medicinale.

MILENA GABANELLI in studio

Questo è l’argomento della puntata di stasera. Paolo Barnard ha realizzato per noi un’inchiesta non facile, perché quando si parla di farmaci, e si assume un atteggiamento critico, si rischia spesso di innescare dei meccanismi che sfuggono al controllo. Noi vorremmo che non accadesse perché non è questo il nostro scopo. Però da anni, attorno alle cure contro l’AIDS, gravano sospetti da parte di ricercatori di calibro mondiale che ci pare doveroso non ignorare. Come non abbiamo ignorato i sostenitori di questi farmaci.

Procederemo per tappe, partendo dalla prima cura, dall’AZT. Poi arriveremo ai nuovi farmaci che sembrano aver portato un po’ di speranza, che sembrano meno tossici, e infine parleremo di come i grandi affari possano influenzare una ricerca che, in assoluto, dovrebbe essere libera da condizionamenti.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Inizi anni ’80. Qui a Castro, quartiere gay di San Francisco, si diffonde una malattia incurabile, terribile. Colpisce soprattutto gli omosessuali, verrà chiamata AIDS, ma sarà subito chiaro che il pericolo di contagio riguarda tutti e non solo le cosiddette categorie a rischio.

1984. Da questo Palazzo, qui a Washington, il dott. Robert Gallo e l’allora ministro della sanità americano Margareth Eckler, annunciano al mondo la scoperta della causa dell’AIDS: è un retrovirus, si chiama HIV, ed è stato isolato per la prima volta in Francia dal dott. Luc Montagnier. Parte la gara per la ricerca di una cura.

Tre anni dopo, nel 1987, la multinazionale Wellcome, divenuta poi Glaxo Wellcome, lancia il primo farmaco speranza contro l’AIDS, l’ AZT.

Ed è da qui che comincia la nostra inchiesta.

TITOLI DI TESTA

Elinor Burkett è oggi scrittrice ed editorialista del New York Times, in passato fu candidata al Pulitzer per le sue inchieste su AIDS, scienza e grandi affari.

ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Dobbiamo considerare il clima socio-politico negli Stati Uniti alla metà degli anni ’80. L’AIDS stava terrorizzando la nazione, non c’erano farmaci né cure e l’amministrazione Reagan sembrava incapace di reagire.

Improvvisamente venne annunciata la scoperta di un farmaco promettente e il governo ci si buttò a capofitto senza andare tanto per il sottile.

AUTORE

Siamo dunque alla fine degli anni ’80 e l’AIDS sta mietendo vittime in tutto il mondo. L’unica speranza farmacologica è ancora l’AZT ma proprio da questa università, qui a Berkely, in California, una voce colpisce il mondo scientifico con un’affermazione che ha dell’incredibile: l’AZT non solo non sta aiutando nessuno ma addirittura sta accelerando la morte di migliaia di pazienti.

Chi parla è il Prof. Peter Duesberg, un grande virologo, membro dell’Accademia Americana delle Scienze.

PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Alla scoperta dell’AZT fu detto che nel suo studio sperimentale la mortalità dei pazienti che l’avevano preso era calata drammaticamente. Ciò ne aveva permesso l’approvazione da parte della Food and Drug Administration.

Bene: ad una lettura attenta di quello studio scoprimmo che non era mai stato completato e i pazienti studiati sapevano benissimo chi prendeva AZT e chi invece le pillole placebo e che quelli in AZT erano sopravvissuti di più solo grazie a massicce trasfusioni di sangue. Infine la Wellcome ci aveva messo abbondantemente lo zampino.

ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Quello studio rimane per me un mistero. Margaret Fischi, l’autrice principale, era una scienziata sconosciuta, senza alcuna esperienza in virologia. La domanda che allora mi posi fu: “perché per uno studio di quel calibro non furono scelti ricercatori di comprovata esperienza?” Non ebbi risposta.

AUTORE

A questo punto il Prof. Duesberg è in serie difficoltà. Infatti molte riviste lo definiscono come un brillante scienziato che ha perso la ragione. Ma a soccorrere le tesi di Duesberg, inaspettatamente, arriva il Dott. Kary Mullis, premio nobel per la chimica del 1993. Esplode il caso.

DOTT. KARY MULLIS – Premio Nobel per la chimica

L’AZT è un chemioterapico che già nel 1967 era stato cestinato per la sua eccessiva tossicità. Sappiamo che con il cancro si danno chemioterapici per un tempo limitato nella speranza di uccidere il tumore prima del paziente. Ma quale oncologo prescriverebbe un chemioterapico ogni giorno per due anni?. Con l’AZT fu fatto.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely (su immagini di DNA)

Cercherò di spiegarvi come agisce l’AZT. Il DNA umano è formato sostanzialmente da 4 elementi di base che io ho qui rappresentato immaginandoli come 4 ragazzini. Un nero, una bianca, una nera e un bianco. Nel linguaggio chimico il primo ragazzino di colore si chiama timina (e infatti scrivo qui sotto la lettera “T”). Il farmaco AZT è stato disegnato come una sua copia esatta ma invece di avere due braccia, come la vera timina, è stato costruito con un braccio solo. E quello è il trucco che gli permette di uccidere il DNA, perché quando l’AZT si attacca agli altri elementi del DNA in formazione, la catena non può continuare perché nessun altro elemento si può attaccare a questo ragazzino senza un braccio.

In tale modo, però, l’AZT uccide anche il DNA di molte altre cellule sane e non solo il DNA della trascrittasi del virus HIV. Anzi l’AZT colpisce molte più cellule sane di quanto possa fare col virus. E perciò, usando un esempio comprensibile, l’AZT funziona come un cacciatore che, per uccidere 10 conigli, brucia tutto il bosco bombardandolo con il napalm.

23/9/97: Report contatta la Glaxo. Chiediamo un’intervista.

AUTORE

Fra l’ortodossia scientifica e i grandi eretici ci sono voci che vanno ascoltate. Una è proprio qui al Greenwich Village di New York ed è quella del Prof. Sonnabend, uno scienziato preparatissimo che ha lavorato per la Columbia University e per il celeberrimo Mount Sinai. La sua esperienza clinica con gli ammalati di AIDS è una delle più vaste in America.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Sonnabend, si può dire che l’AZT abbia accelerato la morte di certi pazienti invece che ritardarla?

PROF. JOSEPH SONNABEND – Royal College of Physicians – Edimburgh

Penso che l’AZT abbia fatto un po’ entrambe le cose. Magari ha ritardato la morte in alcuni ammalati per un tempo limitato ma non c’è dubbio che, alla fine, possa aver compromesso in maniera fatale la condizione di altri. Ciò accadeva soprattutto alla dose di 1200 mg di AZT al giorno ed è stato provato da studi pubblicati sulle riviste scientifiche come il New England Journal Medicine.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Tu hai avuto un’esperienza piuttosto traumatizzante con una persona che conoscevi. Ne vuoi parlare?

VOCE FUORI CAMPO DI DONNA

Si è morto il mio compagno. Anche lui ha assunto l’AZT per un anno e dopo un anno è entrato nella malattia. L’AZT forse lo ha distrutto. Era una persona più fragile di me, sicuramente&.

AUTORE

Qui al National Institute of Health di Washington lavora Anthony Fauci, un membro dell’elite della ricerca sull’AIDS in America. A lui la parola.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health Washington

Non ci sono prove schiaccianti a favore della tesi che l’AZT abbia ucciso dei pazienti. E’ vero che la dose prescritta inizialmente era troppo alta, troppo tossica. Oggi lo sappiamo. Ma il rapporto beneficio/danno è stato certamente a favore di questo farmaco. Su questo c’è ampio consenso fra gli studiosi.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Quando degli studi internazionali dimostrano che in una parte dei soggetti un farmaco allunga la vita, rispetto al soggetto di controllo che non lo prende, ci potrà essere pure qualche soggetto nel quale la vita è accorciata, per imperizia o perché viene dato nonostante, per esempio, l’anemia. Ma per la massa quello è un farmaco che allora doveva essere usato.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Gli effetti collaterali dell’AZT sono pesantissimi. Causa atrofia muscolare e una grave anemia e in più uccide alcune cellule del sistema immunitario, generando un crollo delle difese perché colpisce il midollo osseo. Ma danneggia anche l’intestino e il cervello, causando demenza. Infatti l’AZT uccide i mitocondri che nelle cellule cerebrali sono fonti di energia. Ma, a chi non mi crede, suggerisco di leggere quello che la stessa Wellcome scriveva sui foglietti illustrativi dell’AZT. E sapete cosa scriveva? Che spesso non riuscivano a distinguere i sintomi causati dall’AIDS da quelli causati dalla somministrazione del loro farmaco AZT.

AUTORE (su immagini di foglietto illustrativo del farmaco)

Questo è il foglietto illustrativo del farmaco AZT così come verrebbe consegnato ad un qualunque paziente qui in America e questo è l’ingrandimento della frase contenuta in questo foglietto che il Prof. Duesberg mette sotto accusa. Era “spesso difficile distinguere gli effetti collaterali, derivanti dalla somministrazione dell’AZT, dalle manifestazioni patologiche tipiche dell’AIDS”. Miopatie e miositi con mutamenti patologici simili a quelli causati dall’AIDS sono stati associati alla lunga somministrazione dell’AZT.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Se lei vede i foglietti illustrativi dei farmaci anticancerosi trova scritto che abbassano le difese immunitarie, che fanno venire l’anemia, che fanno venire addirittura il rischio di altri tumori. Ogni farmaco ha effetti collaterali e tossici. Bisogna saperlo usare e modulare.

24/9/96: Secondo contatto con la Glaxo: ci chiedono chiarimenti

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Alla Glaxo Wellcome non sono molto popolare e allora ho ordinato dell’AZT presso la ditta americana Sigma. Quando l’ho ricevuto ho trovato questo avvertimento: “tossico per inalazione, al tatto e se ingerito. Vestire tute protettive”. Questa roba viene prescritta ogni giorno a migliaia di persone nel mondo, inclusi i bambini, e tutto per sconfiggere un virus, l’HIV, che ancora nessuno sa con certezza se è o non è la causa dell’AIDS.

RAGAZZA

Io so di essere sieropositiva dal 1989 ma non ho cominciato subito a prendere farmaci. Anzi, per l’esattezza, ho rifiutato l’AZT dal 1989 fino a settembre del 1993. I medici mi hanno sempre fatto pressione, io sono sempre riuscita a dire di no fino al 1993 anche perché non c’era molto motivo di assumere farmaci, dal momento che la mia situazione immunitaria era stabile. Poi alla fine ho ceduto e ho cominciato a prendere l’AZT nel 1993 e da allora sono iniziati i guai.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Conosci, a onor del vero, persone che hanno preso per anni l’AZT e che non hanno avuto risultati disastrosi?

RAGAZZA

Si, ne conosco tanti, ma conosco anche tanti altri che hanno avuto dei risultati negativi come me.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Quando hai preso l’AZT hai avuto effetti collaterali spiacevoli?

RAGAZZO

Assolutamente no.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Ci sono persone il cui organismo tollera meglio l’AZT eliminandolo con l’urina, senza permettergli di espletare in pieno la sua azione nociva. Questo è il motivo per cui, grazie al cielo, non tutti i pazienti che assumono l’AZT vengono colpiti da sintomi avversi.

MILENA GABANELLI in studio

E adesso apriamo un altro capitolo: quello che riguarda l’informazione. I giornalisti non sono medici e capita che riportino quello che dicono gli esperti. Tutto questo, in genere, avviene in buona fede. Ma come vedremo, a volte le cose vanno diversamente. E poi c’è il rapporto medico/paziente. Da un lato il malato, che in questo caso specifico è disposto ad aggrapparsi a tutto, dall’altra i medici che seguono i protocolli e le direttive. Ma non sempre, magari anche per ragioni comprensibili, informano in modo completo.

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

Non dimenticherò mai un episodio, proprio dopo la Conferenza Mondiale sull’AIDS di Berlino del 1993. Diventava pubblico lo studio Concorde che parlava dei limiti delle terapie con AZT in monoterapia. Su un’importante rivista medico-sanitaria italiana uscì articolo, firmato da due componenti della commissione nazionale AIDS, che esaltava il ruolo della monoterapia in AZT. Noi telefonammo per informarci e scoprimmo che quell’articolo, che sembrava un redazionale, era un articolo pubblicato a pagamento.

AUTORE

Ed è proprio qui, al Medical Research Council di Londra, che gli scienziati anglo-francesi del gruppo Concorde pubblicarono i risultati del più grande studio mai effettuato sull’AZT: 1700 pazienti, 4 anni di lavoro. Uno studio che fece perdere il sonno a molta gente.

DOTT.SSA JANET DARBYSHIRE – Medical Research Council – Londra

Si per noi, autori di quello studio, fu un momento abbastanza difficile perché qualcuno non gradì la nostra scoperta, una scoperta che dimostrava i seri limiti dell’AZT. Si mosse un gran polverone e non sempre riuscimmo a spiegare ciò che avevamo da dire.

ELINOR BURKETT – Scrittrice e editorialista del New York Times

A quei tempi la Wellcome aveva già investito migliaia di miliardi sulle terapie anti AIDS. Ricordo bene la conferenza stampa che i dirigenti di questa casa farmaceutica indissero all’indomani dell’uscita dello studio Concorde. La loro reazione non fu di informare i pazienti e di tranquillizzarli. Si premurarono, invece, di riempire la sala di giornalisti finanziari e di operatori di Wall Street per assicurare i loro azionisti nel mondo.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dottor Agnoletto, il diritto alla salute passa anche e soprattutto attraverso una corretta informazione data al paziente. Nel caso delle terapie anti HIV questa informazione c’è stata?

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

No, non possiamo ammettere che ci sia sempre stata questa informazione. Molti non sono stati informati sugli effetti collaterali che questi farmaci potevano produrre oppure sul fatto che esisteva un’ampia letteratura medico-clinica critica rispetto al loro utilizzo.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Una delle cose che non viene detta ai pazienti riguarda l’esame della carica virale. Gli ammalati credono che questo esame misuri la quantità di virus HIV nel sangue. Se la carica virale è alta al paziente viene detto che è un brutto segno ma proprio il famoso David Oh ha dimostrato che nel sangue di un paziente, per ogni 100.000 copie di RNA virale, in realtà c’è in media un solo virus infettivo, uno solo. Tutte quelle copie che si trovano, sono pezzi di virus morto o difettoso.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Oggi si sa che l’obiettivo è ridurre a zero la replicazione virale perché anche una sola particella virale è in grado di danneggiare il sistema immunitario.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Sonnabend, da medico, ci chiarisca una cosa: migliaia di medici in tutto il mondo hanno prescritto l’AZT. E’ credibile che fossero proprio tutti degli incoscienti, o peggio, degli imbroglioni?

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

La maggior parte dei medici è abituata a seguire le indicazioni dei leader scientifici e non conduce ricerche indipendenti. In sostanza prende le nozioni per buone e non fa troppe domande. Chi invece ha grandi responsabilità sono proprio i leader accademici di cui parlavo, e questi sono spesso nelle mani delle grandi case farmaceutiche. Ma non ci scordiamo che furono anche gli ammalati a spingere affinché questi farmaci fossero provati senza studi più approfonditi.

RAGAZZA

Conosco persone, e so per certo che è così perché le conosco bene, che sono state trattate malissimo perché si sono rifiutate di prendere l’AZT perché stavano ancora bene. Queste persone si sono trovate davanti medici che le hanno quasi sbattute fuori dall’ambulatorio dicendo “ma lei, se non vuole fare la terapia cosa viene a fare qui? Non venga più neanche a fare gli esami!”.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Proprio ieri ho ricevuto questa lettera scritta da una donna sieropositiva che ha appena partorito un bimbo. Mi scrive che i suoi medici la terrorizzarono a tal punto, da assumere l’AZT durante la gravidanza. Soffrì di febbri violente, tremori, perdita dell’appetito e di peso finché si ribellò e gettò il farmaco nella spazzatura. Oggi si preoccupa per gli effetti nocivi che l’AZT potrebbe aver avuto sul feto e si dice indignata per il trattamento ricevuto.

RAGAZZA

Dato positivo è che io, dopo 6 anni di frequentazione di questa divisione di malattie infettive in cui mi sono trovata così male, 2 anni fa, grazie al consiglio degli amici della LILO, ho deciso di cambiare ospedale e mi sono imbattuta in una persona squisita. Un medico bravo e soprattutto molto umano al quale mi sono sempre rivolta e che mi ha sempre trattato con rispetto, anche nei momenti in cui ho rifiutato quello che mi veniva proposto.

MILENA GABANELLI in studio

L’AZT era l’unica cura ufficialmente praticata fino a due anni fa. Poi sono usciti nuovi tipi di inibitori della trascrittasi inversa, cugini dell’AZT, e dal novembre del 1995 negli Stati Uniti, e da circa 1 anno in Italia, viene somministrata una cura che dovrebbe essere più efficace e meno tossica: i famosi cocktail anti AIDS. Ma anche su questo c’è polemica. E poi c’è la questione che riguarda le donne incinte che continuano ad essere trattate in monoterapia con AZT. E su questo punto, da più parti e da molto tempo, c’è polemica.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Ma lo sa lei che l’AZT in gravidanza ha ridotto in studi controllati la trasmissione dalla madre al bambino dal 20% al 7%?

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Uno studio anglo-indiano pubblicato sull’autorevole rivista scientifica “The Journal of AIDS” ha mostrato quali danni l’AZT possa procurare al feto. Su 104 donne studiate, 16 persero il bambino e 8 ebbero figli malformati. Attenzione: ricordate sempre che non è ancora dimostrato che l’HIV sia la causa dell’AIDS. Lo stesso Anthony Fauci firmò uno studio che denunciò gravissimi danni ai bambini sieropositivi in monoterapia con l’AZT. Vorrei far notare che qui a Berkely abbiamo documentato il caso di un piccolo sieropositivo che a due anni, sotto AZT, stava morendo. I genitori interruppero la cura e oggi il bambino ha sei anni, è sempre sieropositivo, ma è sano come un pesce.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

L’unica terapia oggi conosciuta per ridurre la trasmissione dell’HIV dalla madre incinta al feto è quella con l’AZT. Tuttavia, se i medici, in seguito al test della viremia, scoprono che la donna sieropositiva in stato di gravidanza ha un livello di carica virale molto alta, allora le va somministrata una terapia formata dalla giusta combinazione di farmaci.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Su questo punto critico, come su altri, abbiamo sentito l’opinione del Prof. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, un’autorità di calibro mondiale in campo farmacologico.

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Ritengo che dietro questi tipi di terapia ci sia anche una grande carica emotiva, il desiderio di fare qualcosa di utile, però dobbiamo essere molto attenti e distinguere tra le speranze che abbiamo e i dati di fatto. Quindi, prima di fare in modo che una terapia divenga generalizzata, bisogna essere sicuri che i vantaggi siano superiori ai rischi e mi sembra che questo ancora non esista nel campo di cui stiamo parlando.

A Londra l’autore contatta personalmente la Glaxo. Non viene ricevuto.

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

Abbiamo appena concluso una ricerca finanziata dall’Istituto Superiore di Sanità. Dobbiamo ancora rendere pubblici tutti i risultati però posso anticipare una cosa che veramente ci ha preoccupati moltissimo: ancora nella primavera del ’97, tra le persone sieropositive alle quali abbiamo rivolto un questionario e sulle quali abbiamo svolto un’indagine, emerge che l’8% è ancora trattato in monoterapia con AZT.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Secondo me questa cifra dell’8% è pure sottostimata. Fino a poche settimane fa stavamo almeno al 25%.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Ma è gravissimo!

PROF. FERDINANDO AIUTI

E’ grave perché significa un ritardo da parte dei medici nel recepire le nuove linee guida.

I cocktail di farmaci

AUTORE

Oggi la speranza di sconfiggere il virus HIV è riposta negli inibitori della proteasi, quei farmaci che formano i cosiddetti cocktail anti AIDS. Ma anche questi sono al centro di un dibattito serrato.

In questo laboratorio dell’università della California, a San Francisco, lavora il dott. David Rasnick che ha passato 15 anni della sua vita proprio ad inventare gli inibitori della proteasi. A lui la parola.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Il grande pubblico ha sentito parlare di questi farmaci solo di recente per via del loro uso nei cocktail anti AIDS. Per molti anni le case farmaceutiche li produssero per altre applicazioni come, per esempio, per il controllo della pressione sanguigna. Quando lavoravo per la casa farmaceutica Abbott ne preparai diversi. Accadde però che non si trovò l’utilizzo per tutti questi inibitori che così finirono negli scaffali a prendere polvere, per così dire.

Poi arrivò l’impiego contro il virus HIV e improvvisamente la Abbott si trovò in prima fila. Purtroppo, come nel caso dell’AZT, gli studi controllati sugli inibitori della proteasi usati nell’AIDS non sono mai stati completati per cui gli effetti che questi farmaci avranno a lungo termine si scopriranno direttamente nei pazienti che li prendono. Questo non è proprio il massimo della sicurezza. Sulla loro efficacia posso dire che sicuramente fermano la replicazione del virus dell’HIV ma molti di noi si chiedono “è ancora credibile che l’HIV sia la causa dell’AIDS”?

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

Gli inibitori della proteasi, dati assieme ad altri farmaci nei cosiddetti cocktail anti HIV, hanno generato risultati di tutto rispetto, specialmente se si considera la difficoltà che si aveva prima nel controllare la replicazione del virus. Negli Stati Uniti, per esempio, fra il 1995 e il 1996 la mortalità da AIDS è calata del 23% e anche il numero dei ricoveri sì è ridotto in una certa misura.

Con gli inibitori della proteasi si sono visti effetti collaterali meno severi di quelli associati ai farmaci precedenti.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Credo che oggi la posizione più giusta sia quella di non pronunciarsi sull’efficacia e la sicurezza degli inibitori della proteasi. Infatti non ci sono ancora studi controllati che lo dimostrino. Il New York Times ha recentemente pubblicato in prima pagina un articolo/avvertimento sulla crescente inefficacia delle triplici terapie con questi inibitori.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

Se analizziamo tutti i dati disponibili, bisogna ammettere che rispetto alle previsioni di laboratorio la realtà clinica è meno brillante. In effetti questi inibitori in triplice terapia danno risultati positivi che vanno dal 65% al 55% dei casi. Rispetto al passato è comunque un salto in avanti.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Parte della sua rinascita passa anche attraverso l’assunzione degli inibitori della proteasi in combinazione con altri farmaci.

DONNA

Si, è vero. Circa sei mesi fa ho cominciato a rendermi aperta anche a questa possibilità perché avevo visto delle persone che da spacciate stavano notevolmente meglio e mi sono detta “perché non provare?”.

Quello che voglio dare oggi come oggi è un messaggio di speranza, almeno nel mio caso. Anche se credo che ogni caso sia a sé, gli effetti sono stati buoni, sto molto meglio fisicamente, sento una forza fisica e una potenza che negli anni, io da molti anni sono sieropositiva, stava scemando.

PROF. JOSEPH SONNABEND – Royal College of Physicians – Edimburgh

Ho visto persone che oggi sarebbero morte ritornare in vita con gli inibitori della proteasi. Non c’è dubbio che siano un gran balzo in avanti ma alcuni punti vanno sottolineati con forza. Primo: il declino della mortalità e dei ricoveri degli ammalati è iniziato prima dell’arrivo degli inibitori. Secondo: ho visto pazienti che assumono questi farmaci guarire dal sarcoma di Kaposi ma ho visto lo stesso tumore apparire in altri che prendevano i medesimi medicinali. Terzo: ritengo assolutamente poco scientifica, e persino pericolosa, la decisione di certi colleghi di somministrare gli inibitori della proteasi a pazienti sieropositivi ma senza sintomi particolari. Inoltre l’uso della carica virale, come guida per la prescrizione di queste terapie, non ha alcun valore scientifico.

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Noi dobbiamo avere delle prove inconfutabili sul fatto che questi trattamenti aumentano la sopravvivenza. Se abbiamo questi dati possiamo poi anche giustificare il tipo di effetti collaterali e di tossicità che, eventualmente, accompagnano l’azione di questi farmaci.

DOTT. DAVID RASNICK – Università della California – San Francisco.

Per ciò che riguarda gli effetti collaterali finora conosciuti degli inibitori della proteasi, essi colpiscono in genere l’apparato digestivo, i reni e il fegato. Il crixivan è quello che maggiormente danneggia i reni, talvolta con la formazione di calcoli, ma sembra dare anche problemi, talvolta, all’apparato digerente. Il ritonavir inibisce degli enzimi del fegato essenziali per disintossicare questo organo. Il paziente potrebbe così accumulare alti livelli di tossicità nel fegato senza eliminarli e questo è un pericolo.

PROF. FERDINANDO AIUTI

Quando si dice che questi farmaci sono in grado di bloccare la replicazione virale e che nel siero dei pazienti non si trova più il virus, non significa che il virus sia scomparso significa solo che oggi, con le tecniche disponibili, nel sangue il virus è così poco presente tanto da non riuscire a trovarlo.

DOTT. ANTHONY FAUCI – National Institute of Health – Washington

Per il futuro e per coloro che nel futuro, per vari motivi, già oggi non possono prendere gli inibitori della proteasi, abbiamo in cantiere farmaci sempre più mirati. In questo paese ci sono già molti medicinali in via di sperimentazione che attendono di essere approvati dalla Food and Drug Administration. Dovremmo partorire i primi risultati entro breve e la strategia che stiamo seguendo è sempre quella di individuare diversi bersagli nel virus HIV e di colpirli contemporaneamente.

ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Mi preoccupa il fatto che oggi i giovani pensino che l’AIDS è divenuta una malattia cronicizzabile, come il diabete, per merito degli inibitori della proteasi stupidamente esaltati dai media. Alcuni qui in America hanno persino smesso di prendere precauzioni e di usare i preservativi. Tanto, dicono, i medici hanno ormai in mano la cura. Insomma il loro ragionamento è “chi se ne frega se mi infetto”. Ma non c’è niente di più sbagliato.

MILENA GABANELLI in studio

La parte più dolente: il business. Sarebbe ipocrita ignorarlo ma, come vedremo, è difficile pensare che questa malattia non sia stata trattata da parte delle case farmaceutiche come un qualunque altro prodotto commerciale, con le stesse regole di mercato e concorrenza.

DOTT. KARY MULLIS – Premio Nobel per la chimica

Negli Stati Uniti gli enti di tutela per la salute pubblica non fanno i test per l’approvazione dei nuovi farmaci ma aspettano che altri li conducano per loro. Nel caso dell’AZT la Wellcome, che oggi si chiama Glaxo Wellcome, finanziò centinaia di medici ricercatori in diversi ospedali americani, persino dentro le università, al punto che costoro si ritrovarono nell’impossibilità di esprimere qualunque giudizio obiettivo sul farmaco. E come potevano? La Wellcome voleva che il farmaco funzionasse.

AUTORE

Questo è un lavoro scientifico del dott. David Ho, uno dei nomi più altisonanti nella ricerca sull’AIDS. La data è marzo 1996. In questo lavoro il dott. Ho, tra le altre cose, doveva testare l’efficacia del ritonavir, un inibitore della proteasi prodotto dalla casa farmaceutica Abbott. Questo lavoro si scopre essere sponsorizzato, in parte dalla casa farmaceutica Abbott, ma soprattutto si scopre che un coautore del lavoro, il dott. Leonard, è un dipendente di punta della Abbott. Report ha chiesto un chiarimento all’ufficio del dott. Ho, a New York, ma non c’è stata data risposta.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Che indipendenza e serenità possono avere questi ricercatori con interferenze di questo tipo?

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Questo non è, purtroppo, il solo caso di invadenza dell’industria farmaceutica negli studi clinici. In questo campo la maggior parte degli studi clinici controllati è più o meno di fonte industriale.

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Agnoletto, da questa inchiesta emerge che probabilmente esiste davvero una seria commistione tra case farmaceutiche e ricercatori, anche ricercatori governativi, come per esempio è successo negli Stati Uniti. In Italia questa situazione esiste o è un fantasma senza sostanza?

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

No direi che purtroppo questa commistione è ancora estremamente forte. Io mi sono impegnato e devo dire che ho trovato da parte del ministro Bindi un’attenzione su questo e affinché in commissione nazionale AIDS, la commissione che decide i protocolli terapeutici da utilizzare, non fossero presenti quei ricercatori che hanno delle commesse private o comunque svolgono o hanno svolto consulenze per le stesse case farmaceutiche che producono i farmaci contro l’AIDS.

VOCE FUORI CAMP DELL’AUTORE

Lei personalmente, che faceva parte della commissione AIDS, ha mai avuto consulenze con grosse case farmaceutiche come l’Abbott o la Glaxo, per esempio?

PROF. FERDINANDO AIUTI

Il ministro Rosi Bindi ha cambiato la commissione, così ha dichiarato, per un problema di rotazione e di fiducia nei confronti in altri membri. Io ho già risposto pubblicamente che, insieme ad altri colleghi, non avevo nessun rapporto di consulenza con le industrie farmaceutiche.

DOTT. VITTORIO AGNOLETTO – Presidente LILA Nazionale – Milano

Anche nella ricerca italiana gestita dall’Istituto Superiore della Sanità nel passato ci sono state sovrapposizioni di ruolo che forse non erano proprio trasparenti. Abbiamo avuto una commissione che giudicava i progetti d ricerca attribuendo 28 miliardi che, in gran parte, era composta dalle stesse persone che presentavano quei progetti.

PROF. FERDINANDO AIUTI

In maniera provocatoria potrei dire: visto che il ministro Rosi Bindi forse pensa questo, o qualcuno glielo ha messo nell’orecchio, io finora non ho mai fatto il consulente (purtroppo le case farmaceutiche non me lo hanno mai offerto) ma se adesso me lo offrissero, la Glaxo, la Abbott, la Wellcome, la Roche, essendo libero da impegni di commissione, ovviamente con una normale fatturazione, mi farebbe piacere guadagnare centinaia di milioni dalle industrie farmaceutiche. Purtroppo, fino ad adesso, non ho mai ricevuto queste offerte. Spero di averle.

PROF. SILVIO GARATTINI – Direttore Istituto Mario Negri – Milano

Purtroppo la maggior parte dei congressi che riguardano l’AIDS, i corsi, le conferenze, i seminari, sono sostenuti dall’industria farmaceutica che è direttamente interessata nella vendita di questi prodotti. E’ scandaloso perché tutto questo meccanismo tende a diminuire la libertà, l’indipendenza di giudizio.

MILENA GABANELLI in studio

Il buonsenso suggerirebbe che gli apporti di tutti i ricercatori dovrebbero essere considerati con attenzione poiché si tratta di un argomento sul quale non c’è certezza. Ma non sempre le cose vanno così.

E se qualcuno si oppone?

VOCE FUORI CAMPO DELL’AUTORE

Dott. Mullis lei ha pubblicamente dichiarato che non ci sono prove certe che l’HIV causi l’AIDS ed è un critico severo della condotta delle case farmaceutiche. Ha sofferto di ripercussioni?

DOTT. KARY MULLIS – Premio Nobel per la chimica

Se per ripercussioni si intende l’essere tenuto lontano dai convegni internazionali sull’AIDS, si, mi è successo. Ci sono personaggi che, nonostante il peso della mia autorevolezza scientifica, sperano sempre che io venga messo a tacere e sarete sorpresi nell’apprendere che qualche anno fa arrivarono al punto di spedirmi un assegno di 6000 dollari affinché non mi presentassi ad un convegno al quale essi stessi mi avevano invitato. Anzi, ricordo che tempo prima la Wellcome mi aveva addirittura pregato di accettare l’invito a quel convegno. Quasi mi supplicarono di andarci. Poi la Glaxo si comprò la Wellcome ed ecco che per me, di colpo, non c’era più posto.

PROF. PETER DUESBERG – Biologia Molecolare Università di Berkely

Da quando mi sono opposto all’incompetenza con cui certi miei colleghi hanno venduto al mondo la teoria dell’origine virale dell’AIDS e da quando ho criticato il farmaco AZT, non vengo più pubblicato sulle riviste scientifiche che prima mi accoglievano senza riserve. Ho inoltrato 22 richieste di finanziamento per la ricerca e non ne è stata approvata neppure una. Neanche quelle per la ricerca sul cancro, dove io sono famoso per essere stato il primo scienziato al mondo a scoprire un gene oncogeno. Vedete, in questo paese sono gli scienziati stessi che decidono se un ricercatore possa o no fare carriera, perché la distribuzione dei fondi di ricerca passa per le loro mani. Qualunque dissenso che metta in pericolo le loro carriere miliardarie viene stroncato.

PROF. JOSEPH SONNABEND – Royal College of Physicians – Edimburgh

La reazione al mio dissenso, anche se non mi sono mai alleato a Duesberg e Mullis, è stata severa. Una volta sedevo con Robert Gallo ai maggiori convegni sull’AIDS oggi non mi invitano più. Il mondo della ricerca sull’AIDS è più malato dei pazienti che dovrebbe aiutare, perché è tutta una corsa al marketing sotto il giogo dell’arroganza delle case farmaceutiche che nella furia del profitto vendono farmaci a volte letali.

DONNA

Fiducia, che dire? Penso ci siano in gioco interessi veramente grossi. Di potere, di denaro che hanno poco a che vedere con la volontà da parte di queste persone di salvarci la vita. Non penso gliene possa fregare niente di me.

ELINOR BURKETT – Scrittrice ed editorialista del New York Times

Alla fine rimango sempre con un sentimento di tristezza e di preoccupazione per il fatto che spesso la gente che guarda programmi come questo o che legge il mio libro pensa “per fortuna a me non tocca, io non ho l’AIDS”. Ma non c’è nulla di più miope, di più sbagliato, perché se questo è ciò che sta capitando con la ricerca sull’AIDS, se i profitti multimiliardari della Glaxo Wellcome impediscono al mondo di trattare l’AIDS come una malattia invece che come un gigantesco business, allora state pur certi che la stessa cosa sta succedendo con il cancro, con l’infarto e con ogni altra malattia che minaccia la nostra vita.

MILENA GABANELLI in studio

Abbiamo fatto più tentativi, abbiamo sperato fino all’ultimo di avere dalla casa farmaceutica in questione una spiegazione che sconfessasse le accuse di condizionamento della ricerca. Purtroppo non ci è stata data nessuna risposta. E’ una triste conclusione ma va ricordato che negli ultimi due anni sono stati fatti progressi che hanno reso, e che stanno rendendo, migliore l’aspettativa di vita delle persone colpite dal virus. Questo è successo nonostante le porcherie. Significa che ci sono medici, specialisti e ricercatori che dedicano con onestà tutto il loro sapere a rendere migliore la qualità della nostra vita. Sono tanti e lo sappiamo tutti.

Grazie per chi è riuscito a seguirci fin qui. Arrivederci.