“Da EX-GAY Vi Racconterò Qualcosa Sull’OMOSESSUALITA’” – Raffaele U.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Raffaele U.*

*ex-omosessuale

Sono Raffaele, un ragazzo bresciano di 23 anni e probabilmente qualcuno di voi già mi conosce come “A. 27 marzo”, il nickname con cui scrivo sul forum “Si può cambiare”. Grazie a UCCR, cercherò nei vari post di far emergere la verità nascosta di quello che sembra essere diventato il primo punto di ogni governo, dagli Usa all’Italia, passando per la Francia e la Spagna: l’omosessualità e i suoi diritti. Lo farò raccontando la mia esperienza personale di ex-gay ed analizzando le reali motivazioni che si celano dietro la facciata della corsa al matrimonio e alle adozioni omosessuali come evoluzione civile.

Trovai le prime pillole scritte di verità sull’omosessualità in una recensione del libro “This way out” in cui Frank Worthen spiegava chiaramente le basi che portano allo sviluppo di tale condizione. Veniva sondato il mondo emozionale del bambino pre-omosessuale, in cui era presente la constatazione del padre distante mentre affrontava le sfide nel mondo (scuola, sport, amici) come prova della sua indifferenza. I padri venivano descritti come le “finestre sul mondo” della cui conoscenza, condivisione ed esempio i figli maschi avevano bisogno durante la crescita. Secondo l’autore senza tutto ciò il bambino si poteva estraniare e sprofondare nel mondo fantastico, troppo timoroso per quello reale. I coetanei l’avrebbero ridicolizzato escludendolo dal circolo: il rifiuto ne confermava la diversità con la relativa ammissione di non essere in grado di far parte del gruppo.

Inoltre venni a contatto con gli studi di Joseph Nicolosi, che nel libro “Identità di genere” affermava come spesso l’omosessualità maschile fosse legata all’incapacità di separare l’identità sessuale dalla madre. Quest’ultima aveva manifestato dei grandi bisogni affettivi ed esercitato un controllo eccessivo, conseguendo come risultato un attaccamento simbiotico col bambino. Secondo questo psicologo clinico e fondatore del Narth, il primo passo per cambiare stava proprio nel riconoscere e spezzare il legame, così da poter maturare sul piano affettivo per scoprire il proprio senso di sé, fisico e psichico. Consigliava di riconsiderare gli eventi della propria infanzia, soprattutto nei termini delle relazioni primarie, e andare oltre creando nuove relazioni che compensassero in modo maturo il vuoto vissuto durante lo sviluppo.

Ogni aspetto del mio passato si caricava di senso: era come essere sul tetto di un grattacielo ed osservare la panoramica della propria vita. Alla luce di queste sconvolgenti ed affascinanti scoperte, la psiche volava, mossa dall’ardente desiderio di dare nuova forma al contenuto della memoria emozionale. Era chiaro come l’incapacità di relazionarmi con gli altri maschi fosse connessa al legame conflittuale con mio padre così come l’attaccamento “appiccicoso” alle femmine fosse il tentativo di replicare la simbiosi materna. Riproducevo nel mondo le stesse dinamiche all’interno della famiglia, ma tutto era enormemente complicato. Più passavano gli anni e più il principio di realtà mi obbligava a fare i conti con la verità delle cose, mentre cercavo di rimanere il più a lungo possibile nella fantasia.

Compresi il motivo per cui nell’adolescenza era emerso in me il “personaggio del secchione”, che attutiva il sempre maggiore senso di smarrimento: mi ero rifugiato completamente nello studio tanto che i voti erano diventati l’unico motivo per cui gioire o soffrire, il mio dio. Compensavo l’incapacità di scorrere insieme ai miei compagni nelle varie fasi della crescita con il successo nei test scolastici, nell’illusione di non essere in difetto, ma addirittura superiore. I maestri mi prendevano come l’esempio perfetto, responsabile, educato e diligente, ma in realtà la scuola stava solo assecondando il mio delirio, reprimendo il profondo dolore. Come in famiglia, anche nella società mi ero dissociato dalla mascolinità e dall’istinto, sprofondando nell’essere tanto carino all’esterno quanto imploso all’interno, perdendo la libera espressione, la naturale autenticità, pur di avere l’illusione d’essere riconosciuto.

Ho riportato questa parte del mio diario per evidenziare come sia delicato il processo di presa di coscienza del proprio passato e di relativa rinascita. I collegamenti psicologici, seppur apparentemente evidenti, sono frutto di un’accurata analisi nel momento in cui costituiscono la propria identità. E’ necessario uno spazio sicuro per poter prendere contatto col proprio vissuto emozionale. In un clima di bombardamento dell’ideologia gay è praticamente impossibile per un ragazzino confuso iniziare a trovare dentro di sé le risposte alle domande che inevitabilmente si pone. Sembra una bestemmia prendere in mano personalmente la propria vita, permettersi d’indagare oltre il sistema corrente, che tra l’altro sta andando a pezzi. In nome della guerra per la fine dell’omofobia e ai diritti civili per tutti, viene magistralmente impedito di prendere in considerazione un’altra strada, una via matura e che mette al centro l’anima dell’uomo. Oggi si sta confondendo la percezione soggettiva di sé e della Vita e la libertà di autodeterminazione con meccanismi di compensazione, con l’emergere d’identità ferite che la società non è in grado di accogliere come una madre, ma solo di confermare passivamente come un estraneo.

Grazie per lo spazio concessomi e a tutti i lettori di UCCR che vorranno aiutarci a diffondere la VERITA’ sull’OMOSESSUALITA’ e la TRANSESSUALITA’.