Primavera di Fame – Ralph Bircher

PRIMAVERA DI FAME

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Pressappoco nel tempo in cui noi festeggiamo il carnevale, il pesante soffitto di nuvole che incombe sul paese durante l’inverno, comincia a strapparsi. Il sole si mette a splendere, scaldando poco, all’inizio, ma rallegrando infinitamente gli esseri umani. E alla fine scaccia il freddo definitivamente. Allora i letti dei ruscelli e i numerosi canali per l’irrigazione sono tutto un gorgoglio, mentre in fondo alle gale, tra gli alti pendii, dove si estendono i campi coltivati, si sentono muggire le acque che scendono dalle montagne, dove si scioglie l’ultima neve.

Il giubilo che provoca il ritorno dell’acqua e del caldo si esprime in un’immensa festa popolare, il Bop-Faou, nel corso della quale, da tempo immemorabile, il popolo ringrazia il Cielo ed implora la fecondità della sua terra con cerimonie di intimo splendore e con « Giochi » abilissimi. Ma non è ancora il momento qui di parlare di quest’arte della celebrazione delle feste.

I tempi durissimi che seguono questa grande solennità, e che si prolungano fino al periodo della mietitura dell’ORZO, ci riempirebbero senza dubbio di tante di quelle preoccupazioni che non saremmo in grado di superarle e sollevarci fino all’allegria ed alla gioia incontenibile della festa Hunza! Questa lunga « PRIMAVERA DI FAME» è in effetti una dura prova. La MANCANZA di CIBO, che diventa ogni giorno sempre più pronunciata, finisce per far coincidere un periodo di SEMI-DIGIUNO SEVERO con i più FATICOSI LAVORI dei CAMPI. C’è da sperare che la descrizione fatta da LORIMER (benché egli non ne faccia cenno) di questa PRIMAVERA DI CARESTIA, che sua MOGLIE e LUI hanno VISSUTO nel 1935, non sia stata di un’annata normale, ma una particolarmente sfavorevole. In ogni caso è accaduto il fatto che da una ventina d’anni, la produzione alimentare, nel territorio Hunza, minacci di diventare nettamente insufficiente, giacché, date le poche possibilità di incrementare notevolmente l’irrigazione artificiale, che fertilizza i campi, la produzione non può aumentare mentre invece la popolazione aumenta continuamente.

Che questa CARESTIA PRIMAVERILE si sia AGGRAVATA, da qualche

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anno, lo dimostra un piccolo fatto: che dal 1922 la consuetudine del CHIKAMATING non è stata più osservata. Consisteva, all’epoca della fioritura degli ALBICOCCHI, cioè a metà del periodo del SEMI-DIGIUNO, nel far CUOCERE al FORNO delle GALLETTE su cui, pigiando il dito, si facevano dei piccoli incavi, in ciascuno dei quali si versava un po’ d’OLIO. L’usanza venne abbandonata col pretesto di « consumi esagerati e superflui ».

Dopo la festa del Bop-Faou, tutti si danno da fare, con frenetico zelo, nei LAVORI dei CAMPI. Gli UOMINIZAPPANO, ARANO, SEMINANO; le DONNE trasportano nei campi il LETAME che era stato ammassato e conservato con la massima cura, lo spezzettano e lo spargono sul terreno. LORIMER passò vicino a delle donne che, riposandosi dopo questo lavoro, filavano attivamente sedute una accanto all’altra su un muricciolo. Le lingue si muovevano allegramente, commentando gli incidenti avvenuti durante l’inverno. « Era un sollievo – scrisse sedersi insieme a loro. Erano, come sempre, amabili, spontanee e gaie, e infinitamente più pulite di quanto sarei stato se, facendo un lavoro come il loro, mi fossi dovuto lavare senza sapone e con l’acqua ghiaccia ».

Ben presto l’ORZO, il primo dei cereali che spunta, mostra lungo i solchi i suoi piccoli germogli verde pallido. Verso la METÀ di MARZO, la maggior parte dei campi è già coperta di un fresco TAPPETO VERDE di CEREALI NUOVI: un vero benessere per la vista, ma non ancora per lo stomaco! Molte settimane prima che l’ORZO, il più precoce dei cereali raccolti, sia arrivato a maturazione, il GRANO viene a mancare quasi in tutte le case; presso alcuni anche la provvista di ALBICOCCHE SECCHE e di PATATE è esaurita, benché ognuno ne abbia sicuramente razionato il consumo il più saggiamente possibile. « Non dirò tutte le famiglie, scrisse LORIMER, ma sicuramente MOLTISSIME FAMIGLIE si MANTENEVANO IN VITA solo con ERBACCE strappate nei campi di grano, con i GERMOGLI e le tenere VERDURE dell’ORTO ».

Per un certo tempo, i due stranieri ignorarono questa carestia perché la gente non lascia trasparire nulla. La situazione venne alla luce solo quando Lorimer domandò ai suoi vicini il permesso di prendere delle fotografie della preparazione del PANE. « Entrate, siate il benvenuto, gli disse la padrona di casa.

Ma… PANE… NON NE POSSIIAMO PIÙ FARE DA MTI GIORNI perché

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la FARINA è FINITA. Non avete sentito piangere i più piccoli?

Hanno fame, poverini, e sono troppo giovani per capire ».

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A quell’epoca la signora LORIMER, che gli Hunza chiamavano « carissima madre», fotografò una vicina che si accingeva a salire la scala esterna della casa (scala simile a quelle che si vedono nel Canton Ticino), portando un gran fascio di LEGUMI VERDI, che voleva sbucciare sul tetto a terrazza. Alcuni giorni dopo, portò ai vicini la fotografia molto ben riuscita. Sul tetto questa volta si trovava il marito, Nazar, ancora occupato nella preparazione dello stesso legume verde. Scese, ricevette la fotografia con gratitudine e grido verso l’interno della casa: « moglie, vieni a vedere la cera che hai! ». Tutti e due contemplarono un momento l’immagine, poi Nazar scoppiò a ridere così allegramente da contagiare tutti gli altri.

Quando la signora LORIMER si fu ripresa, domandò perché.

« Scusatemi, carissima madre, ma è così ben riuscita… un’immagine così bella… le montagne… mia moglie… la casa… e con tutto ciò… niente pane! ». Si rimise al lavoro tutto rallegrato per il senso comico di questa situazione. Questo stesso Nazar fu il primo, qualche tempo dopo, a mandare ai due stranieri un panierino di FRUTTA FRESCA, non appena leMORE vennero ad ADDOLCIRE un po’ « la DIETA dei LEGUMI VERDI ».

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Non lontano da un’altra casa la famiglia era doverosamente occupata a spargere il LETAME sui campi, quando la « carissima madre » passò di là. Conosceva questa famiglia e in particolare Kaniza, una bambina che era andata spesso da lei. Ma là c’era un’altra ragazzina che la signora Lorimer non aveva mai visto. Sapeva soltanto che una SORELLA GEMELLA di Kaniza era stata presa per un periodo a BALTIT da PARENTI COMPIACENTI, per SOLLEVARE i GENITORI dalla PREOCCUPAZIONE di NUTRIRLA. « È QUESTA la TUA SORELLA GEMELLA? » domandò a Kaniza. Era proprio lei, ma DUE VOLTE PIU’ GRANDE e FIORENTE di KANIZA. « Non è strano — disse la signora Lorimer – rivolgendosi alla madre, che ANJIR sia TANTO PIU’ GRANDE della SUA GEMELLA? ». « Non è strano — replicò lei con semplicità — a BALTIT c’è da MANGIARE».

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Malgrado questa risposta la straniera, qualche tempo dopo, fu invitata nel modo più cordiale in questa famiglia dove le fu offerto il pasto consueto, fatto di LENTICCHIE e PATATE, probabilmente il solo vero pasto che quella gente facesse in tutta la giornata. La signora LORIMER si domandò « se, essendo affamata come loro ed avendo così poco da offrire, sarebbe stata disposta a sacrificare quel poco nutrimento per dare da mangiare a degli stranieri già relativamente sovralimentati ».

Un’altra volta incontrò un giovane Hunza, straniero in questa contrada. Portava un RAMETTO di ALBICOCCHE SECCHE (simile a quelli dei datteri) e camminando ne mangiava di tanto in tanto. La saluto gentilmente e le offrì subito le sue ALBICOCCHE e ciò in piena PRIMAVERA di CARESTIA! Simile gentilezza non si fa qui nello spirito della cortesia spagnola (la mia casa vi appartiene) ma in un vero spirito di ospitalità. Le ALBICOCCHE SECCHE che sono, insieme al CEREALI, il PRINCIPALE ALIMENTO CONSERVATO degli Hunza, sono BUONISSIME, estremamente NUTRITIVE e, in ogni caso, infinitamente più SAPORITE delle nostre ALBICOCCHE che si trovano in drogheria. Una sola di queste vi resta in bocca, come il chewing-gum, per una buona mezz’ora.

In alto sulla montagna – si era all’INIZIO di MARZO – il piccolo Khano, di nove anni, venne un giorno incontro ai due stranieri, camminando molto lentamente e prudentemente. «Che cosa porti con tanta cura sotto la TCHOGA? » gli domandarono.

« E il mio primo CAPRETTO» – rispose. Il ragazzino aprì il mantello per farci vedere una graziosa bestiolina. « Là c’è la MAMMA CAPRA. Aspetto ancora quattro piccoli domani. Spero tanto che non nascano di già durante la notte, senza il mio aiuto! Vorrei tanto essere il solo ad aiutare la mamma capra! ».

A NOVE ANNI godeva di poter assistere una capra a partorire!

Aveva iniziato a fare il mestiere di pastore per sollevare sua madre dalla preoccupazione di nutrirlo perché, come guardiano di capre, il suo mantenimento era assicurato dalla tesoreria del re.

Durante la « STAGIONE della FAME » si eseguono due specie di lavori che occorre ricordare in modo speciale. L’afflusso di acqua nei torrenti, provocato dallo sciogliersi delle nevi cadute da poco, verso la fine dell’inverno, non dura mai molto a lungo.

Ora, fino a che il calore del sole non è diventato sufficiente per far fondere sulle cime più alte la neve vecchia, più dura,

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si attraversa un PERIODO di SICCITA’, che vuota i canali d’irrigazione. Ci si serve di questa pausa, in fretta e furia e con una febbrile attività per riparare le condutture dell’acqua e raccogliere la MELMA FERTILIZZANTE che si dirige verso i campi. Questi lavori, che presentano spesso qualche pericolo, sono in ogni caso assai faticosi e devono essere eseguiti dagli uomini.

Poco tempo dopo, ai primi di marzo, tutta la famiglia si dedica al trattamento degli ALBICOCCHI, che vengono curati uno per uno. « Con un’attenzione infinita, ogni ramo, ogni ramoscello è esaminato e, DOVE SI TROVA qualche NIDO di INSETTI, si procede al TAGLIO del RAMETTO. I nidi che contengono le uova sono piccolissimi e aderiscono saldamente al ramo che li ospita.

Anche i più minimi ramoscelli tagliati sono portati a casa accuratamente, per completare il combustibile ordinario ».

Alla fine dello stesso mese sbocciano le gemme rosa dei fiori di albicocco e, per chi li contempla, è una stagione di incantevole bellezza! « Chi, dice il Lorimer, non ha visto il territorio hunza nel suo ornamento radioso di fiori rosa e di campi di un tenero verde chiaro, non si può fare la più lontana idea di questa meraviglia ».

La « PRIMAVERA delle GUANCE SCAVATE» non arriva però ancora al termine; FINO circa alla FINE di GIUGNO la CARESTIA NON FA CHE AUMENTARE Quando i due esploratori, il 12 GIUGNO, ritornarono da un viaggio nella contrada di Ysan, furono accolti con una cordialità ed una gioia traboccanti, da giovani e vecchi. Ogni tre passi erano fermati da nuove conoscenze che gli correvano incontro con esclamazioni gioiose come: « Eccovi tornati! Siete in buona salute? Il viaggio è stato pericoloso? ».

Gli Hunza infatti non usano frasi fatte e si salutano con queste domande che esprimono il loro interesse reciproco. Nei giorni seguenti, camminando in campagna, i LORIMER incontrarono MOLTE PERSONE dal VISO AFFAMATO che esaminavano i loro campi, (soppesando e calcolando se la messe d’ORZO poteva essere falciata fra due settimane), o ancora uomini seduti uno accanto all’altro che masticavano in silenzio MORE ancora POCO MATURE, o molti bambini accoccolati davanti al fosso pieno di acqua, che confezionavano pani e dolci di sabbia e fango, per saziare desideri… insaziabili. Tutti i loro amici hunza avevano i LINEAMENTI SCARNI e ANGOLOSI: occupati, dall’alba al tramonto, a ZAPPARE, ARARE, CONCIMARE, SARCHIARE, ANNAFFIARE e MURARE,

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NON MANGIAVANO MAI in PROPORZIONE alla LORO FAME. Alcuni BAMBINI avevano il VOLTO SEGNATO da un’ECZEMA dovuto alla MANCANZA di CIBO e che SPARIVA RAPIDAMENTE quando potevano di nuovo fare UNO o DUE PASTI ABBONDANTI. « E terribile, notava LORIMER assistere a tutto ciò senza poter portare alcun aiuto, perché questa gente è troppo numerosa, fa sentire in colpa l’avere da parte per sé un nutrimento molto magro, è vero, secondo i nostri criteri europei, ma che qui sembra un vero eccesso in confronto a quello che riceve questo popolo, che meriterebbe tanto di più! ».

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I LORIMER, passando un giorno davanti a un gruppetto di bambini che facevano un gioco complicato, con piume e ciottoli, si fermarono e cercarono di capirne le regole. Goulo, una ragazzina della famiglia Zénaba, venne da loro, fece scivolare con confidenza la sua manina in quella della signora straniera e le sussurrò: « La nostra Bianchina ha partorito (usava scherzosamente, per la madre GATTA, un termine usato per gli esseri umani) ci sono tre gattini e ieri hanno aperto gli occhi, per piacere venite a vederli! ». Quando, un po’ più tardi, la signora Lorimer esaudì questo desiderio, si fermò sulla soglia della casa, per essere sicura di non disturbare mamma Zénaba. Questa, accoccolata per terra, facevaCUOCERE delle ERBE per il loro PASTO di MEZZOGIORNO. « Saltò allegramente in piedi per venire ad accoglierci. Ci sedemmo su uno dei daïs di pietra, dietro il quale 1 bambini andarono a prendere un canestro da frutta di forma circolare; la mamma-gatta vi era confortevolmente coricata a forma di ciambella. Le furono presi i tre piccoli e lei lasciò fare, facendo le fusa, visibilmente abituata a veder maneggiare delicatamente i gattini. Goulo esclamò con vivacità:

« Prima ha fatto il nero, poi il bianco, dopo il giallo e poi dopo, più niente!… ». Kaniza, Apitche e il padre, Ali Akbar, si avvicinarono e chiacchierarono allegramente con noi. Zénaba confessò ridendo, e quasi scusandosi, di aver preso un po’ diFARINA (dalla RISERVA « di EMERGENZA») per dare alla MADRE-GATTA una fortificante FARINATA di GRANO COTTO al BURRO, come lo ricevono le puerpere. Sembrava che non temesse per nulla il rimprovero dei suoi. Infatti questa maniera di agire incontrò

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l’approvazione generale, ho assistito a questa scena in una delle più povere case del paese, in cui, da molte settimane, gli esseri umani non avevano toccato, da parte loro, ne grano né burro… ».

Un’altra prova di questa generosità di cuore è ricordata altrove. Per la prima volta, dopo molti anni, un’alta personalità, amico degli Hunza, doveva far visita a questo piccolo regno montanaro e praticamente autonomo. Per festeggiare questa solennità, e in segno di benvenuto, tutto il versante della montagna occupato dal paese hunza, dal fondo della valle fino alle cime rocciose più inaccessibili, apparve disseminato di immensi fuochi di gioia che sembravano altrettante stelle! Per CHI conosce la PENURIA di COMBIUSTIBILE che regna tra gli Hunza, PER CHI HA VISSUTO UNO dei LORO INVERNI, il valore di questa dimostrazione appariva inestimabile. Per molto tempo e con difficoltà inaudite, avevano accumulato ceppi di legna di ginepro, che quella sera furono sacrificati in massa ed in un colpo solo.

Ma lasciare che il loro pensiero si soffermasse su questo dono sarebbe parso senza dubbio una sordida avarizia all’ospitale bontà di questa gente. Pertanto ci si poteva domandare se lo straniero importante, a cui questi fuochi erano destinati, sapesse apprezzarne il valore e, addirittura, se lo potesse perfino sospettare!

All’ULTIMO STADIO della PRIMAVERA di FAME, quando questa GENTE doveva SOFFRIRE di più perché vedevano sotto gli occhi le pesanti spighe di grano, quando non facevano neanche più mistero della loro FAME,rimanevano malgrado tutto attivi, puliti, ordinati, pieni di riguardi, cordiali ed anche allegri! Pu questa, agli occhi di LORIMER la più commovente esperienza che egli abbia vissuto in quel paese, la quale lo ricompenserà di tutte le tribolazioni del suo grande viaggio. « La fame – disse — non ha nessuna influenza sull’umore di questa gente, non arriva a piegare il loro temperamento ».

VERSO la META’ di questa PRIMAVERA i due stranieri assistettero ad un singolare CONCERTO. I BAMBINI di tutte le parti avevano tagliato dei fusti di salice e ne avevano fatto dei FLAUTI, persino dei DOPPI FLAUTI, con una gamma di suoni meravigliosamente estesa, e dai quali sapevano trarre un gran numero di GIOIOSE MELODIE.

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Si potrebbe credere che questa povera gente si gettasse, come lupi affamati, sul primo pezzo di pane finalmente ottenuto… Ora un racconto, fatto in lingua hunza, descrive così

la scena:

Quando il PRIMO ORZO è stato tagliato e battuto « ammassano il GRANO, ne tanno macinare un po’ e confezionano PANI e GALLETTE; poi portano del grandi sacchi nel granaio e li riempiono di grano ». Riempiendoli dicono:

Digôni Pirtsum bärköt dumärtscha ba. (« Imploro la benedizione di Digoni Pit». Si tratta di un saggio di grande fama).

Bismillah, ya chudaya! Da’asulya, ya chudâya! Da’öspiren,

0 Dio: Riempi il mio ventre! 0, Dich lempio nome da men: te, o Dio! accordaci la benedizione di Ichcachoum, o Dio. — Ichcachoum è un distretto piccolo, ma particolarmente fertile, nella terra degli Hunza).

Ho chöpik nichin. (« Allora mangiano qualche cosa »). Ma, prima, si mette ancora DA PARTE il GRANO destinato alla SEMINA ed alla benedizione dei morti. Infatti se qualcuno muore viene distribuito del grano come elemosina.

Quando ci ricordiamo il punto di partenza del nostro interesse per il piccolo popolo hunza, questa scoperta della loro MERAVIGLIOSA SALUTE da « PUROSANGUE » (CONSTATATA dagli ESAMI MEDICI) e dell’ASSENZA in loro DI QUASI TUTTE le MALATTIE UMANE che riempiono i nostri trattati di patologia, tutti questi racconti della loro vita giornaliera che caratterizzano il loro INVERNO e la loro PRIMAVERA di FAME rivestono, al di fuori del valore umano, un significato molto speciale. Quale effetto, ci si domanda, può esercitare sullo stato di salute di questo popolo una VITA INVERNALE così CHIUSA, ma soprattutto un così LUNGO PERIODO di SOTTOALIMENTAZIONE? I fatti stessi danno la risposta: NON HANNO, tutto sommato, NESSUN EFFETTO NEFASTO. Ma ciò non fa che rendere il problema degli Hunza più SBALORDITIVO ancora di quello che aveva rilevato McCARRISON.

Tratto da:

Gli HUNZA Un popolo che ignora la malattia

Ralph Bircher

Quaderni d’Ontignano