Ippocrate e Asclepiade

Busto di Ippocrate di Coo.

 

Tratto da

La Storia dell’Igienismo Naturale

Valdo Vaccaro

In lingua greca, il termine farmakon significa veleno. 

Se le farmacie si chiamassero non più farmacie ma velenìe, è probabile che non sarebbero costantemente sovraffollate, come sta accadendo ai nostri giorni.
Per l’igienismo niente sale operatorie, sostituite dal riposo fisiologico totale (digiuno) associato all’acqua distillata, sistema che agisce come un bisturi nei riguardi di ogni presenza anormale interna, di ogni scoria velenosa e di ogni crescita cellulare fuori posto.

La cura dell’aspettativa e dell’osservazione, ovvero la cura della non cura

L’unica cura possibile e priva di controindicazioni è la Cura-della-non-cura, che corrisponde poi alla medicina dell’aspettativa e dell’osservazione propugnate da IPPOCRATE (460-370 a.C), secondo le quali il medico deve fare atto di umiltà e di sottomissione alla natura, deve limitarsi a soccorrere e coadiuvare la natura, perché la natura è sovrana medicatrice dei mali, e di conseguenza la regola fondamentale è quella del PRIMO NON NUOCERE, ossia primo non disturbare o contrastare l’azione della natura.
Ippocrate condannava i medici del suo tempo per un loro grave errore comune.
Non sapevano distinguere le malattie e confondevano le stesse coi sintomi.
Quello che succede pure oggi.

Asclepiade di Bitinia

La medicina sicura, soave e sollecita del medico-igienista Asclepiade

Cura-della-non-cura che corrisponde esattamente alle idee di un altro caposaldo dell’igienismo, ovvero ad ASCLEPIADE (100 a.C). per il quale la medicina doveva rispondere a 3 requisiti ben precisi.
Doveva cioè essere sicura (non sperimentale), soave (non invasiva) e sollecita (diete, ginnastica, bagni, docce).
Asclepiade inventò a Roma l’IDROTERAPIA e le docce 2000 anni prima di Vincent Priessnitz (1801-1851), di Sebastian Kneipp (1821-1897) e di Louis Kuhne (1844-1901).
Asclepiade sottolineava: A) l’importanza delle cause nascoste a monte, B) l’importanza del corpo (del terreno umano) e di come viene usato, C) l’irrilevanza e l’indifferenza tra diverse malattie, tra diversi sintomi (tutte le malattie e tutti i sintomi hanno cioè la stessa matrice).
Ma anche lui, come Ippocrate, venne presto tradito dagli allievi, portati a seguire i diversi sintomi locali.

LARGO SCRIBONIO (47 d.C) applicava infatti la torpedine nera sulla testa dei sofferenti di emicrania, anziché cercare le vere cause a monte del male di testa.
Peggio ancora faceva TEMISONE, che si disinteressava espressamente delle cause occulte o remote, e puntava tutto sulla fisiologia e sulla patologia.

L’eterno oscillare tra il naturale e l’innaturale, tra il soave e l’invasivo

Pertanto, l’eterna disputa tra igienismo naturale e medicina, non nasce affatto con Paracelso e Kuhne, con Petenkofer ed Ehret, con Bircher-Benner e Gerson, o con la ANHS (American Natural Hygiene Society) dei Jennings, Graham, Trall, Tilden e Shelton, ma ha origini antichissime.

L’intreccio storico tra igienismo naturale e medicina è un continuo oscillare tra il naturale e l’innaturale, tra il non-nuocere e il nuocere, tra il rispettare e l’interferire.

 

WIKIPEDIA

Ippocrate di Coo (o Cos, o Kos) (in greco antico: ʽΙπποκράτης, Hippokrátēs; Coo, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C. terminus post quem) è stato un medico, geografo e aforista greco antico, considerato il padre della medicina[1][2]. Egli rivoluzionò il concetto di medicina, tradizionalmente associata con la teurgia e la filosofia, stabilendo la medicina come professione.[3][4] In particolare, ebbe il merito di far avanzare lo studio sistematico della medicina clinica, riassumendo le conoscenze mediche delle scuole precedenti, e di descrivere le pratiche per i medici attraverso il Corpus Hippocraticum e altre opere.[3][5]

Origine del nome
Composto da ἵππος (hippos, «cavallo») e κράτος (kratos, «potere», «forza»),[6][7] il nome rivela un’origine esoterica, in quanto attributo di colui che ha il potere di dominare l’animalità, simboleggiata dal cavallo.[8] Risulta infatti che Ippocrate venne gradualmente introdotto ai misteridella medicina egizia, attraverso un lungo percorso iniziatico.[9]

Figlio di Eraclide e di Fenarete, Ippocrate proveniva da una famiglia aristocratica con interessi medici, i cui membri erano appartenuti alla corporazione degli Asclepiadi[10]. Il padre, egli stesso medico, affermava di essere un discendente di Asclepio, dio della medicina. Fu il padre, insieme ad Erodico, ad introdurre il giovane Ippocrate all’arte medica. Egli lavorò a Coo, viaggiò molto in Grecia, in particolare Atene. Ma esercitò specialmente nella Grecia settentrionale, in Tracia e a Taso.

Ippocrate viaggiò moltissimo, visitò tutta la Grecia, fino ad arrivare in Egitto e in Libia, dove fu iniziato alla conoscenzadegli antichi segreti detenuti dai sacerdoti.[9] Alla sua epoca l’Egitto era il paese ritenuto più avanzato nella cultura scientifica e tecnologica, nonché nell’aritmetica e nella geometria. Quasi tutti i medici laici viaggiavano molto per curare i malati e studiare le metodologie di cura.

Acquisì grande fama contribuendo a vincere la peste di Atene (429 a.C.) e soprattutto insegnando. Fondò una scuola medica e scrisse una settantina di opere, raccolte nel Corpus Hippocraticum[11].

Ippocrate ebbe due figli: Tessalo e Dracone I.

L’unico episodio controverso nella vita di Ippocrate fu il presunto incendio del Tempio di Asclepio[10]. In occasione di questa sciagura, narra la leggenda, alcune persone testimoniarono di aver visto il medico uscire dal tempio con le tavolette delle divinità. Quelli che osteggiavano le sue teorie l’accusarono di aver trafugato gli scritti. La maggior parte dei suoi concittadini però interpretò diversamente la vicenda, sostenendo che Ippocrate, incarnazione del dio, aveva in realtà salvato le tavole sacre.

Il pensiero medico e filosofico di Ippocrate si inserisce in un contesto esoterico che egli stesso cercò di preservare dall’accesso di quanti fossero impreparati, e perciò inadeguati, a comprenderlo.[9]

«Le cose sacre non devono essere insegnate che alle persone pure; è un sacrilegio comunicarle ai profani prima di averli iniziati ai misteri della scienza.»
(Prolegomeni [12])

Uno dei fondamenti della medicina ippocratica è il principio Νόσων φύσεις ἰητροί, chiamato in seguito da Galeno vis medicatrix naturae, o «forza curatrice naturale»,[13]che vede il corpo umano animato da una forza vitale tendente per natura a riequilibrare le disarmonie apportatrici di patologie. Secondo questa concezione, la malattia e la salute di una persona dipendono da circostanze insite nella persona stessa, non da agenti esterni o da superiori interventi divini; la via della guarigione consisterà pertanto nel limitarsi a stimolare questa forza innata, non nel sostituirsi ad essa: «la natura è il medico delle malattie […] il medico deve solo seguirne gli insegnamenti».[14]

Ippocrate fu anche il primo a studiare l’anatomia e la patologia, per farlo applicò la dissezione sui cadaveri. Egli inventò la cartella clinica, teorizzò la necessità di osservare i pazienti prendendone in considerazione l’aspetto ed i sintomi e introdusse per primo i concetti di diagnosie prognosi[15]. Egli credeva infatti che solo la considerazione dello stile di vita del malato permetteva di comprendere e sconfiggere la malattia da cui era affetto. Se tale prospettiva è tutt’oggi tipica della pratica medica, la ricchezza degli elementi che Ippocrate chiama in causa (dietetici, atmosferici, psicologici, perfino sociali) suggerisce un’ampiezza di vedute che raramente sarà in seguito praticata. Ma la necessità di una considerazione globale valeva anche in senso inverso: ogni elemento nella natura umana aveva ripercussioni sull’esistenza.

Tale innovazione appare chiara soprattutto a partire dalle osservazioni che Ippocrate rivolge all’indirizzo della scuola di Cnido. Questa, sotto l’influenza delle prime osservazioni scientifiche compiute in area ionica (Talete, Anassimandro) aveva rafforzato lo spirito di osservazione tipico dei primi medici itineranti greci, nominati nei poemi omerici. Da una parte Ippocrate ha grande stima di tale approccio sperimentale, ritenendo che grazie ad esso la verità potrà, gradualmente, essere scoperta; dall’altra parte egli critica il fatto che le osservazioni empiriche non siano inserite in un quadro scientifico complessivo, che metta ordine nell’infinita varietà dei fenomeni con i quali il medico si deve confrontare. Solo questa conoscenza di tipo universale rende il medico veramente tale.

Ippocrate valorizza il dialogo tra medico e paziente. “Se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: “Ma così tu rendi medico il tuo paziente!” proprio così dovrà dirti, se sei un bravo medico”.[16]

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Teoria degli umori.

Ippocrate sostenne la “teoria umorale[17]. Il nostro corpo sarebbe governato da quattro umori: (sangue, bile gialla, bile nera, flegma). Essi condurrebbero alla salute (crasi) nel caso in cui siano in equilibrio, alla malattia nel caso opposto. La teoria è espressa nel De Natura hominis del suo discepolo Polibo.

Ritratto di Ippocrate

A lui si deve l’importanza del concetto di dieta e alimentazione all’interno della dottrina degli umori e la coniugazione di medicina e chirurgia (ad esempio mediante purghe e salassi).

Ancor’oggi alcune malattie portano il suo nome, come le dita ippocratiche, o a bacchetta di tamburo, e la faccia ippocratica, tipica delle condizioni di sofferenza e indebolimento, ad esempio nella peritonite.

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Giuramento di Ippocrate.

Se da una parte la mancanza di qualsiasi vincolo legislativo aveva reso possibile lo sviluppo rapido della ricerca medica, d’altra parte essa spostava la riflessione anche sui doveri morali del medico[10]. In diversi passi delle opere di Ippocrate egli insiste sull’esigenza che il medico conduca una vita regolare e riservata, non speculi sulle malattie dei pazienti ma anzi li curi gratuitamente se bisognosi, stabilisca un legame di sincerità con i malati. Il testo più celebre che codifica l’etica medica è però il giuramento (ancor oggi in uso), in cui vengono enumerati i princìpi fondamentali che deve seguire chi esercita questa professione: diffusione responsabile del sapere, impegno a favore della vita, senso del proprio limite, rettitudine e segreto professionale.

 

Asclepiade di Bitinia (Prusa, 129 a.C.40 a.C.) è stato un medico greco antico.

Noto anche come Asclepiade di Prusa (o di Chio), nacque nella città di Prusa, in Bitinia, studiò ad Atene e ad Alessandria.

Medico autodidatta, fu un seguace della teoria atomistica di Democrito e in medicina si oppose alla teoria ippocratica dell’origine delle malattie causate da squilibri degli “umori”. Ritenendo il corpo composto di atomi separati da spazi vuoti (“pori”) dove si sarebbero mossi altri atomi, teorizzò che la malattia fosse causata dallo squilibrio tra atomi e pori: se questi ultimi erano troppo larghi causavano pallore e mancanza di forze, se erano troppo stretti rossore e calori. I rimedi terapeutici si basavano su massaggi, bagni termali, passeggiate e musica, con il ricorso a farmaci o salassi solo in casi estremi.

Fondò la scuola medica detta “metodica” e fu il primo a classificare le malattie in acute e croniche. Il suo allievo Celio Aureliano gli attribuì l’adozione della tracheotomia come terapia d’urgenza nella difterite.[1]

Nel 91 a.C. era a Roma. Dopo aver esercitato come retore, continuò la sua attività di medico e furono suoi pazienti anche Cicerone, Crasso e Marco Antonio.

Morì in tarda età a Roma nel I secolo a.C.

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