Ripatransone, dove la chirurgia senza sangue nacque per diffondersi in tutta Italia

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Ripatransone – A volte la storia di fatti o eventi molto significativi ha piccoli inizi o capita in luoghi apparentemente di secondaria importanza, senza che molti vi facciano caso. Il 7 luglio di 40 anni fa a Ripatransone, borgo della provincia di Ascoli Piceno e secolare sede vescovile, si tenne un convegno nell’ospedale locale dal tema: “Trasfusione di sangue e metodiche alternative”.

Il dottor Cesare Buresta fece una relazione sui risultati conseguiti con centinaia di interventi chirurgici fino allora effettuati con successo senza trasfusioni. Il periodico Panorama nell’edizione del 23 luglio 1979 scrisse a proposito degli interventi chirurgici effettuati all’interno del piccolo ospedale di Ripatransone: “Oggi grazie all’evoluzione e alla messa a punto di nuove tecniche, secondo Buresta si può operare senza trasfusioni di sangue nel 99% dei casi. Un risultato che potrebbe consentire notevoli vantaggi”.

In effetti, tutto era iniziato molti anni prima, precisamente nel 1972 quando un cinquantenne testimone di Geova della zona si presentò al dottor Buresta con un grave problema medico alla milza, che dovette poi essere asportata. A differenza di altre equipe ospedaliere che avevano rifiutato di operare il paziente ponendo la condizione sine qua non del ricorso alle trasfusioni, Buresta decise di intervenire ugualmente rispettando la convinzione del paziente. L’operazione riuscì perfettamente tanto che il paziente sopravvive ancora oggi. Da allora in poi, il piccolo ospedale di Ripatransone divenne meta di centinaia di persone di tutte le età, provenienti dalle più disparate località della Penisola, che troveranno medici pronti a cooperare nel curare il paziente rispettando le sue convinzioni, in linea con il lungimirante articolo 32 della Costituzione italiana. L’input proveniente dalla nuova situazione sanitaria che si delineava a Ripatransone e in poche altre località, permise a migliaia di medici e operatori sanitari di guardare alla chirurgia senza sangue come a un tecnica praticabile e utilizzabile anche per interventi complessi.

Per molti medici, oggi l’approccio alle emotrasfusioni è cambiato, in quanto considerate non più uniche e indispensabili soluzioni per curare, ma uno dei trattamenti sanitari che se rifiutati dal paziente possono essere sostituite da altri protocolli medici efficaci. Secondo quanto riportate dal sito https://www.jw.org/it/news/ attualmente in Italia sono più di 5.000 i medici che hanno accettato di curare pazienti testimoni di Geova con tecniche mediche e chirurgiche sicure ed efficaci che non prevedono l’uso di emotrasfusioni. In media ogni anno nel nostro paese vengono curati con queste tecniche 16.000 pazienti Testimoni.

A tal proposito nello stesso reportage reperibile sul sito ufficiale, Giandomenico Biancofiore, direttore dell’unità di anestesia e rianimazione dei trapianti dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana, professore associato di anestesiologia e rianimazione presso l’Università di Pisa ha affermato: “Diversi studi hanno dimostrato che i pazienti trasfusi vanno incontro più frequentemente rispetto a quelli non trasfusi a complicanze ed esiti peggiori con aumento del rischio di mortalità, morbilità (ictus, danno renale, eventi tromboembolici, infezioni, insufficienza respiratoria) e prolungamento della degenza. Penso che il trattamento dei pazienti testimoni di Geova negli ultimi 50 anni abbia portato i clinici a una maggiore consapevolezza per quanto riguarda la conservazione del sangue e i progressi della chirurgia senza sangue”.

Un progresso che ha visto l’ospedale di Ripatransone e i medici che vi hanno operato quali indiscussi protagonisti: per il bene di migliaia di testimoni di Geova ma anche per la medicina in generale e il vantaggio di tutti.

Roberto Guidotti