La carne e il cancro – Il rischio di morte per cancro negli animali in cattività

Tratto da

Tumori e cancri

Qual è la causa del cancro?

Dr. H. M. Shelton

Venticinque anni or sono, circa, il Dr. JOHN ROUND, Dottore in Scienze, scriveva quanto segue in un articolo su ≪La Carne e il Cancro≫: ≪Secondo RAYER,il cancro si riscontra normalmente negli uccelli predatori e solo raramente in quelli non carnivori. Le AQUILE e gliAVVOLTOI in cattivitàmuoiono spesso di cancro. IL GUFO comune è particolarmente soggetto al cancro. Una delle scoperte più sconvolgenti degli ultimi anni è l’elevata frequenzadel cancro nei PESCI. . . Il cancro è particolarmente diffuso tra quelli allevati in cattività(vivai, acquari). . . Si è trovato il cancro in certi RETTILI: SALAMANDRE, RANE, PITONI.

Per altro verso, tra tutti gli animali domestici, il CAVALLO sembra essere quello meno esposto al cancro. Il cancro è anche rarissimo nei BOVINI. ≪E` raro negli OVINIe molto raro nelle CAPRE. Nei CONIGLIè così raro che non ne conosciamo alcun caso. E` molto frequente, invece, in quei divoratori d’immondizie che sono i RATTIe i TOPI,soprattutto in quelli la cui ALIMENTAZIONE è di origine CARNEA. Gli animali selvatici tenuti in cattività hanno anch’essi, a volte, il cancro. La frequenza del cancro è incredibilmente alta anche nel GATTO. Nondimeno, fatta eccezione per i topi, fra tutti gli animali studiati in questo rapporto, IL PIU’ SOGGETTO AL CANCRO è IL CANE. Su 3.525 cani esaminati, Semner ha trovato che l’8% era canceroso. Tutti i principali tipi di cancro che colpiscono l’uomo sono stati riscontrati anche nel cane. Ora, il CANEè un carnivoro e spesso al domestico viene data TROPPA CARNE. Esso, poi, accresce ancora la sua razione con ogni sorta di detriti carnei che si procura frugando negli ammassi d’immondizie. ≪Se torniamo agli animali poco soggetti al cancro, constatiamo che, di tutti quelli esaminati, IL MENO SOGGETTO al CANCRO sembra essere la. SCIMMIA. Difatti, i tumori sono estremamente rari tra questi animali. Le scimmie si nutrono preferibilmente di NOCI ( per quanto riguarda i cibi proteici ) e la loro quasi totale immunità dal cancro costituisce un fatto di notevole importanza. ≪Se  guardiamo all’UOMO  constatiamo che la frequenza del  CANCRO  in lui è proporzionale alla quantità di CARNEche consuma. Ciò può non essere sempre vero per quanto riguarda gli individui, ma lo è certamente per le collettività≫. Parlando dei cancri che si riscontrano nelle piante, il Dr. Round scrive: ≪Si trovano delle specie di cancro su certi ALBERI. E` molto interessante rilevare che questi CANCRI VEGETALI sono più frequenti negli ALBERI che crescono su un terreno sovraccarico di colaticcio o di acque di fogna; in altri termini, in ALBERI  sovralimentati di SOSTANZE AZOTATE. Sulla BARBABIETOLA  sovralimentata, per esempio, si sviluppa una specie di CANCRO VEGETALE.  Questo cancro somiglia spaventosamente a quelli che colpiscono le specie animali, compreso l’uomo≫.

Round cita poi le seguenti parole del Prof. F. SMITH, del Laboratorio di Patologia vegetale della città di Washington: ≪IL CANCRO VEGETALE ha maggiori probabilità di comparire nelle. PIANTE SOVRALIMENTATE. . . Come il cancro nell’uomo,   è quasi certo che sia  recidivo dopo l’escissione.

Con il tempo, il cancro vegetale finisce per distruggere la pianta sulla quale si sviluppa≫.

La sovralimentazione ed il consumo eccessivo di alimenti azotati, ed in particolare di ALIMENTI AZOTATI MALSANI, possono dunque essere considerati come i fattori preliminari di ogni sviluppo canceroso. Amici miei cari, i partigiani devoti della ≪coltura organica≫ dovrebbero trarne insegnamento.

Quanto è stato riferito sui cancri vegetali, dovrebbe far loro capire che l’esagerata correzione di un terreno con terricciato, specie quando esso è ricco di materie azotate, produce piante alimentari di qualità molto povera. I mangiatori di CARNE dovrebbero rendersi conto che la frequenza del CANCRO negli ANIMALI CARNIVORI (anche allo stato selvatico) e la sua relativa assenza in quelli ERBIVORI e FRUGIVORI (anche in cattività) costituiscono una prova decisiva  che le proteine di origine animale non sono appropriate all’alimentazione umana.

Tratto da

Alcune cause di cancro

Dr. H. M. Shelton

REINHEIMER   formula l’ipotesi che il CANCRO sia un’evoluzione originata da anafilassi cronica latente, o da AVVELENAMENTO PROTIDICO. Egli considerava i PRODOTTI ANIMALI come I MAGGIORI RESPONSABILI: specie la CARNE, un po’ le UOVAe molto poco il LATTE.

Il fatto che i PROTIDIdi tali alimenti creino effettivamente ANAFILASSIè provato dal gran numero di persone che hanno reazioni allergiche dopo averli ingeriti.

ANAFILASSI e ALLERGIA sono lo stesso fenomeno.

Questa tesi trova conferma nel fatto che è stato scoperto che un nutrimento ricco di PROTIDI affretta la diffusione del CANCRO negli ANIMALI sottoposti ad esperimento.Alcune sostanze protidiche del TUORLO D’ UOVO favoriscono rapidamente l’evoluzione e la crescita dei CANCRI MAMMELLARI   nei   RATTI. Se, mediante statistiche, potessimo trovare una correlazione tra ilCANCRO al SENO nella DONNA  e l’abitudine di mangiare UOVA,  la tesi di REINHEIMER   sarebbe confermata.

Anche allo stato selvatico, gli ANIMALI CARNIVORI sono spesso affetti da CANCRO,   mentre gli ANIMALI VEGETARIANI e FRUGIVORI ne sono quasi immuni. Ciò vale per gli uomini, ma vi sono eccezioni degne di nota. In linea generale, tuttavia, L’INCIDENZA del CANCRO CRESCE e SI ABBASSA CON L’AUMENTO e la DIMINUZIONE del CONSUMO di CARNE.

Se gli animali CARNIVORI,dotati di mezzi speciali che li preservano dall’eccesso di protidi e dagli elementi tossici della CARNE,  patiscono un’elevata incidenza di CANCRO,   l’UOMO  dovrebbe lamentare una situazione peggiore, perché gli mancano gli speciali mezzi di difesa che hanno tali animali.”

Il RENE del LEONE è due volte più grande di quello del TORO  e non molto più piccolo di quello dell’ELEFANTE. Si vuole che il RENE indichi la quantità di PROTEINE che dovrebbe essere assorbita. Se ciò è vero, gli ANIMALI CARNIVORI, che hanno RENI   di NOTEVOLI DIMENSIONI, sono più adatti ad un regime alimentare carneo; mentre gli ANIMALI VEGETARIANI,   dai RENI PICCOLI, sono poco o affatto adatti a questa stessa alimentazione così ricca di protidi.

Il FEGATO degli ANIMALI CARNIVORI è relativamente più grande di quello dei vegetariani. Il FEGATO del PESCECANE, per esempio, è la cosa più grande che esso abbia. Il FEGATO  è importante per l’ escrezione dei residui del metabolismo protidico e per la preparazione dei protidi per uso cellulare. Gli animali che vivono normalmente con un regime ricco di protidi, quali la carne e le uova, hanno bisogno di un FEGATO   voluminoso.

L’ APPARATO DIGERENTE del CARNIVORO è BREVE; quello del vegetariano è più lungo.

Il TRATTO DIGESTIVO BREVE del CARNIVORO   impedisce una lunga permanenza nel corpo dellaCARNEe dei suoi prodotti, prevenendo così la conseguente putrefazione. Applicato all’UOMO, o ad altri ANIMALI VEGETARIANI, il REGIME CARNEO produce comunemente una maggiore PUTREFAZIONE negli organi digerenti.

 

di Valentina Arcovio

04.01.2022

Le abitudini alimentari degli animali possono suggerirci informazioni preziose su come proteggere la nostra salute. E’ quanto ha dimostrato uno studio condotto da ORSOLYA VINCZE  del Centro per la ricerca ecologica in Ungheria, i cui risultati hanno mostrato come i MAMMIFERI CARNIVORI abbiano più probabilità di MORIRE di CANCRO rispetto ai MAMMIFERI ERBIVORI.  I risultati, pubblicati sulla rivista Nature, sono frutto di un’approfondita analisi che ha coinvolto decine di migliaia di animali provenienti dagli zoo di tutto il mondo. In particolare, i ricercatori hanno analizzato i DATI POST-MORTEM di110.148 ANIMALI di 191 SPECIEdi MAMMIFERI MORTI  negli ZOO. Hanno così scoperto che i MAMMIFERI CARNIVORI  avevano molte più probabilità  di MORIRE di CANCRO  rispetto ai mammiferi che mangiano raramente o mai la carne.

Gli ARTIODATTILI,   un gruppo di mammiferi prevalentemente erbivori che comprende ANTILOPI,   PECORE e MUCCHE, è risultato essere quello MENO INCLINE al CANCRO.

L’importanza della Dieta

LA SPECIE PIU’ INCLINE al CANCRO, invece, è risultata il  KOVARI (Dasyuroides byrnei), un piccolo marsupiale australiano carnivoro: 16 SU 28 analizzati indicavano il CANCRO come CAUSA di MORTE.Al CONTRARIO, NESSUN DATOriguardante i 196 esemplardi ANTILOPE CERVICAPRA o i 213   MARA’ della PATAGONIA (Dolichotis patagonum) hanno mostrato un legame tra la loro dipartita e il cancro. L’ANTILOPE CERVICAPRA è una specie di mammifero originario dell’India che  si nutre di ERBA e ilMARA’ della PATAGONIA. è un grande roditore che mangia ERBA, che si trova in Argentina. I risultati di questo studio sfidano la credenza comune secondo la quale gli animali più grandi e con una durata di vita più lunga siano maggiormente a rischio di contrarre il cancro, poiché hanno più cellule che possono mutare e c’è più tempo affinché si verifichino mutazioni pericolose. Invece, stando agli studiosi ungheresi, il  RISCHIO  di CANCRO  sembra essere FORTEMENTE INFLUENZATO dalla DIETA, anche se sono NECESSARIE ULTERIORI RICERCHE per CONFERMARE se la RELAZIONE osservata nei MAMMIFERI IN CATTIVITA’ si trova anche nelle POPOLAZIONI SELVATICHE.Secondo i ricercatori, uno dei motivi per cui i CARNIVORI  possono essere più inclini al cancro è che la CARNE CRUDA  può contenere VIRUS  che possono causare il CANCRO. Ad esempio, è stato scoperto che il cancro in alcuni LEONI in CATTIVITA’  è correlato al PAPILLOMAVIRUS  che si può trovare nelle CARCASSE di VACCA che mangiano.

Studio di nuovi trattamenti anti-cancro

Un’altra ragione potrebbe essere che i CARNIVORI sono PIU’ ESPOSTI  agli INQUINANTI  che si concentrano sempre più negli animali che si trovano più in alto nella catena alimentare. Inoltre, i CARNIVORI hanno DIETE RICCHEdi GRASSI ePOVERE di FIBRE  e i loro BATTERI INTESTINALI  sono meno diversificati rispetto agli ERBIVORI, fattori che sono stati associati al rischio di cancro nelle persone. La scoperta che i MAMMIFERI CARNIVORI  siano più suscettibili al CANCROnon significa necessariamente che gli ESSERI UMANI  che mangiano carne siano anche più a rischio, dal momento che abbiamo stili di vita   diversi dagli altri mammiferi e non tendiamo a mangiareCARNE CRUDA.Tuttavia, alcuni STUDI sull’UOMO  hanno collegato il consumo di CARNE  con un AUMENTO del RISCHIO di CANCRO. In questa fase, non è chiaro il motivo per cui gli ARTIODATTILI  sembrano essere insolitamente RESISTENTI AL CANCRO, ma una migliore comprensione, secondo gli studiosi, potrebbe aiutare a proteggerci anche dal cancro. La loro DIETA VEGETALE. a basso contenuto di GRASSI e ricca di FIBRE  può essere un fattore, oppure possono aver sviluppato con l’evoluzione DIFESE ANTI-TUMORALI che compensano il potenziale surplus di rischio cancro causato dalle loro grandi dimensioni. Specie come l’ANTILOPE CERVICAPRA e il MARA’ della PATAGONIA, entrambi di particolare interesse a causa dei loro TASSI di MORTALITA’  per CANCRO ECCEZIONALMENTE BASSI.

Capire come sfidano il cancro può aiutarci a sviluppare trattamenti contro di esso”, conclude  Vincze.

LINK A STUDIO: https://www.nature.com/articles/s41586-021-04224-5

https://mohre.it/consumo-di-carne-e-rischio-cancro-studio-su-nature-lo-conferma/

Il rischio di morte per cancro negli animali in cattività

Dati raccolti in esemplari appartenenti a 191 SPECIE DIVERSE diverse confermano quello che è noto come “PARADOSSO di  PETO” e suggeriscono che la DIETA  possa essere un fattore significativo.

Uno studio i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica NATURE   aggiorna e arricchisce le nostre conoscenze sul rischio di morire di cancro tra i mammiferi. I dati ottenuti in questo tipo di ricerche non sono solo oggetto di curiosità, ma possono fornire informazioni sui meccanismi naturali che contrastano o favoriscono l’insorgenza dei TUMORI, meccanismi che potrebbero essere sfruttati per prevenire e curare la malattia anche negli esseri umani. Inoltre conoscere meglio la suscettibilità degli altri mammiferi al cancro è utile per prendere maggiore cura degli esseri viventi con cui condividiamo il pianeta.

Il PARADOSSO di PETO

All’origine di ogni tumore c’è una cellula che accumula mutazioni nel proprio DNA e inizia a moltiplicarsi senza freni. Si potrebbe pensare che la probabilità di andare incontro a un tumore sia maggiore per un animale di grandi dimensioni, in quanto contiene più cellule che possono “impazzire” rispetto a un animale più piccolo. Inoltre i grandi animali generalmente vivono più a lungo, rispetto ai più piccoli, e hanno quindi più tempo per accumulare i danni al DNA responsabili della trasformazione maligna.

I dati ci dicono però che non esiste alcun legame tra le dimensioni e la longevità tipici di una specie animale, e il rischio di ammalarsi di cancro. Questa osservazione, fatta per la prima volta dall’epidemiologo britannico SIR RICHARD PETO  alla fine degli   anni settanta del secolo scorso,   è nota come “PARADOSSO  di PETO”.  Lo scienziato aveva notato che il rischio di sviluppare un tumore per un topo non è molto diverso da quello di un essere umano, nonostante l’animaletto abbia un numero di cellule 1.000 volte più basso di quello tipico della nostra specie e nonostante la sua durata media della vita sia oltre 30 volte inferiore alla nostra. Altri scienziati hanno poi condotto studi di conferma, basati però su pochi dati, non sempre omogenei tra loro.

Gli autori dell’articolo di NATUREhanno invece analizzato una grossa mole di dati. Le informazioni riguardavano 110.148 mammiferi adulti  appartenenti a 191 specie diverse,ospitati in VARI ZOO,   strutture che oggi fungono spesso anche da centri di ricerca scientifica in veterinaria ed etologia.I dati   sono stati raccolti   nel tempo nel  ZOOLOGICAL INFORMATION MANAGEMENT SYSTEM,  un database  gestito dalla organizzazione internazionale   non Profit  “Species360”.   I ricercatori hanno calcolato il rischio di morte per cancro degli animali di ogni specie annoverata nel database, tra quelli per i cui decessi erano disponibili i referti di anatomia patologica. Hanno così osservato una grande variabilità tra le cause di morte e notato che in più di una specie su cinque,    tra quelle considerate, il rischio relativo di morte per cancro  era maggiore di circa il 10 per cento.

Le rigorose analisi statistiche condotte usando questo ampio campione di animali hanno anche confermato il paradosso biologico descritto da  PETO:  il rischio di morte per cancro non è proporzionale alle dimensioni e all’aspettativa di vita tipici di una specie. Gli scienziati ritengono che, nel corso dell’evoluzione, l’aumento progressivo delle dimensioni corporali e l’allungamento della vita media di alcune specie si siano accompagnati allo sviluppo di meccanismi protettivi contro l’accumulo di mutazioni dannose e dunque contro la formazione di tumori.

Il cancro nei carnivori

Gli autori dell’articolo hanno osservato che la morte associata ai tumori è particolarmente frequente tra alcuni tipi di mammiferi:in alcune specie più del 20-40%  della popolazione studiata è morta a causa del cancro.  Questo dato potrebbe essere associato a forti perturbazioni ambientali  capaci di favorire la malattia,  che va perciò considerata una minaccia alla salute animale oltre che a quella umana.

Dalle analisi statistiche è emerso che il rischio di morte per cancro  era  più alto  per i mammiferi appartenenti all’ordine dei CARNIVORI,  rispetto ai PRIMATIo agli ARTIODATTILI   (mammiferi ungulati che comprendono, tra gli altri, i cervi). Tra i carnivori vi sono diverse famiglie di mammiferi, tra cui i FELIDI(per esempio leoni, tigri, gatti), i CANIDI  (lupi, volpi, cani), gli URSIDI(orsi, procioni), ma anche i PINNIPEDI  (leoni marini). A dispetto del nome, i carnivori non si nutrono tutti esclusivamente di carne: alcuni sono  onnivorialtri, come il  PANDA GIGANTE, sono erbivori.

Tra le possibili spiegazioni della maggiore suscettibilità al CANCRO dei CARNIVORI,i ricercatori  hanno ipotizzato  potessero esserci  l’uso di contraccettivi ormonali   e il posticipo delle gravidanze tipici degli animali ospitati negliZOO.   Tuttavia, l’eccesso di rischio non era presente solo negli esemplari di sesso femminile, come ci si sarebbe aspettato. Se i   FATTORI ORMONALI hanno un ruolo, NON BASTANO perciò a giustificare il maggior rischio di cancro nei carnivori.

Il secondo fattore che è stato preso in considerazione è  l’ALIMENTAZIONE.  La DIETA dei CARNIVORI   è ricca di grassi e povera di fibre, e questi animali, essendo in cima alla catena alimentare, sono dunque esposti alle sostanze nocive  che si sono accumulate nel corpo degli esseri di cui si cibano. Mangiare  CARNE CRUDA  espone inoltre al rischio di introdurre microrganismi   capaci di indurre  TUMORI.

Entrando più nello specifico, i ricercatori hanno riscontrato che il   rischio di morire di cancro era significativamente più alto per i MAMMIFERI che MANGIANO spesso ALTRI MAMMIFERI, rispetto a quelli che li consumano saltuariamente o che non se ne nutrono.  La frequenza con cui i MAMMIFERI consumano ALTRE PREDE (per esempio PESCI, RETTILI, UCCELLI) NON sembrerebbe invece avere rilevanza.  I ricercatori ritengono che se fosse coinvolto qualche  microrganismo patogeno, la trasmissione da mammifero a mammifero sarebbe più probabile rispetto a quella da un’altra specie animale.

Una spiegazione alternativa dell’aumentato rischio di morte per cancro negli animali ad ALIMENTAZIONE più a BASE di CARNE potrebbe risiedere nella composizione del microbiota intestinale,  l’insieme dei  microorganismi  che colonizzano il canale digerente. Gli ANIMALI STUDIATI vivevano in CATTIVITA’, di conseguenza non è possibile escludere che per la loro salute abbiano avuto un ruolo anche l’attività fisica limitata o qualche altra condizione “artificiale” imposta dagli esseri umani. Per questo motivo gli autori della ricerca suggeriscono di considerare con cautela l’effetto del consumo di carne sul rischio di cancro e si augurano che questo argomento possa essere approfondito studiando il rischio di morte per cancro anche in popolazioni animali selvatiche vissute in natura.

 

Cancer risk across mammals

Orsolya Vincze 1,2,3,4, Fernando Colchero 5,6,7, Jean-Francois Lemaître 8, Dalia A. Conde 6,7,9, Samuel Pavard10, Margaux Bieuville10, Araxi O. Urrutia11,12, Beata Ujvari13, Amy M. Boddy14, Carlo C. Maley 15, Frédéric Thomas 1 &Mathieu Giraudeau 1,2

https://doi.org/10.1038/s41586-021-04224-5

Received: 26 April 2021

Accepted: 9 November 2021

Published online: 22 December 2021

Open access Check for updates

 

Il cancro è una malattia ubiquitaria dei METAZOI, che si prevede colpisca in modo sproporzionato organismi più grandi e longevi a causa del loro maggior numero di divisioni cellulari e quindi della maggiore probabilità di mutazioni somatiche1,2. Mentre all'interno delle specie è stato documentato un elevato rischio di cancro con dimensioni corporee maggiori e/o longevità, il paradosso di Peto indica l'apparente mancanza di tale associazione tra i taxa6. Tuttavia, mancano prove empiriche inequivocabili del paradosso di Peto, derivanti dalla difficoltà di stimare il rischio di cancro in specie non modello. Qui costruiamo e analizziamo un database sulla mortalità correlata al cancro utilizzando i dati sui mammiferi adulti dello zoo (110.148 individui,
191 specie) e mappare la mortalità per cancro controllata dall'età all'albero della vita dei mammiferi. Dimostriamo l'universalità e l'alta frequenza dei fenomeni oncogeni nei mammiferi e riveliamo differenze sostanziali nella mortalità per cancro tra i principali ordini di mammiferi. Mostriamo che la distribuzione filogenetica della mortalità per cancro è associata alla dieta, con i mammiferi carnivori (in particolare quelli che consumano mammiferi) che affrontano la più alta mortalità correlata al cancro. Inoltre, forniamo prove inequivocabili delle dimensioni corporee e dei componenti della longevità del paradosso di Peto, mostrando che il rischio di mortalità per cancro è in gran parte indipendente sia dalla massa corporea che dall'aspettativa di vita adulta tra le specie. Questi risultati evidenziano il ruolo chiave dell'evoluzione della storia della vita nel modellare la resistenza al cancro e forniscono importanti progressi nella ricerca di difese antitumorali naturali.

 

Complessi organismi multicellulari sono costituiti da milioni a quadrilioni di cellule, che alla fine derivano tutte da una singola cellula, lo zigote. Durante il corso della vita degli organismi ea causa di vari processi mutazionali, i lignaggi cellulari tendono ad accumulare mutazioni7,8. Sebbene la maggior parte delle mutazioni sia innocua, alcune consentono alle cellule di sfuggire al controllo del ciclo cellulare, di crescere e proliferare in modo incontrollabile, provocando il cancro9,10. Il cancro è un processo a più stadi, in cui è necessaria una serie di mutazioni sia per l'inizio che per la progressione maligna. Dato che ogni divisione cellulare comporta il rischio di generare mutazioni, organismi con corpi grandi (composti da più cellule) e longevità prolungate (con un tempo più lungo per accumulare mutazioni) dovrebbero avere maggiori probabilità di sviluppare il cancro1,6,11,12. Infatti, negli esseri umani3,11 e nei cani4, gli individui più grandi hanno maggiori probabilità di sviluppare il cancro rispetto a quelli più piccoli. Allo stesso modo, l'aumento dell'età è uno dei più potenti fattori cancerogeni nelle specie in cui l'eziologia del cancro è ben studiata. Tuttavia, mentre le prove attuali suggeriscono che le grandi dimensioni corporee e la longevità estesa si traducono in un aumento del rischio di cancro all'interno delle specie, questa relazione potrebbe non reggere tra i taxa13.
I dati limitati finora disponibili indicano che i vertebrati non affrontano chiari rischi di cancro dipendenti dalle dimensioni, nonostante le loro dimensioni e longevità varino di ordini di grandezza. Ciò pone una sfida logica, in primo luogo formulato da SIR RICHARD PETO 6,14. Ha notato che sebbene i TOPI abbiano circa 1.000 volte meno cellule e una durata di vita > 30 volte più breve rispetto agli UMANI, il loro rischio di carcinogenesi non è marcatamente diverso (coniato come il paradosso di Peto)5. Il paradosso di Peto è un enigma evolutivo che ha sconcertato la comunità scientifica e ha portato a un vivace dibattito sull'evoluzione dei meccanismi antitumorali. Si ipotizza spesso che la selezione naturale su grandi dimensioni o longevità estesa sia intrinsecamente inseparabile dall'evoluzione delle difese antitumorali. Le conoscenze acquisite dall'indagine sul paradosso di Peto potrebbero quindi contribuire ampiamente alla nostra conoscenza dei meccanismi antitumorali naturali che potrebbero essere potenzialmente sfruttati per uso medico. Inoltre, la comprensione della variazione inter-specie della vulnerabilità al cancro è un importante passo successivo per la salute e il benessere degli animali. Mentre alcuni studi miravano a stabilire la variazione tra specie nel rischio di cancro15,16, la maggior parte delle stime e delle analisi presenta notevoli limiti. Questi includono piccole dimensioni del campione inter-specie o all'interno della specie1,6,17, mancanza di informazioni sulla distribuzione per età del cancro15-17, eterogeneità dei dati (ad esempio, pregiudizi dovuti all'addomesticamento17 o combinazione di dati da più taxa17,18) o mancanza di controllo per la parentela filogenetica tra le specie17. Inoltre, l'effetto della longevità è stato generalmente testato utilizzando la metrica molto dibattuta della durata di vita massima riportata15-17. Tuttavia, la prevalenza del cancro (il parametro considerato esclusivamente da studi precedenti15-17) dovrebbe essere correlata con l'aspettativa di vita (il tempo medio vissuto dagli individui nella popolazione di interesse), non con il potenziale massimo di vita (che pochissimi individui raggiungono), rendendo questi analisi intrinsecamente viziate.
Per caratterizzare l'incidenza del cancro in un campione omogeneo e in un'ampia gamma tassonomica, qui abbiamo utilizzato il Zoological Information Management System (ZIMS), gestito da Species360 (un'organizzazione senza scopo di lucro custode dei dati di zoo e acquari)19. Abbiamo raccolto informazioni su 110.148 mammiferi adulti non addomesticati distribuiti su 191 specie, inclusi dati sulla loro età, sesso, stato vivo/morto e record patologici post-mortem per 11.840 individui. Il cancro viene registrato in questo database solo per gli animali deceduti e solo se il patologo veterinario che effettua l'ispezione lo considera un fattore che ha contribuito alla morte dell'individuo. In primo luogo, per caratterizzare la longevità delle specie, abbiamo utilizzato il modello di sopravvivenza (n = 110.148) e calcolato le aspettative di vita adulta specifiche per specie, rappresentando la longevità media degli adulti nel nostro campione 20,21. In secondo luogo, per stimare il rischio di mortalità per cancro, abbiamo utilizzato due parametri, entrambi stimando la percentuale di individui che muoiono di cancro. Abbiamo dapprima calcolato una semplice misura del rischio di mortalità per cancro (di seguito CMR; ovvero il rapporto tra il numero di decessi correlati al cancro e il numero totale di individui le cui cartelle cliniche post mortem sono state inserite nel database, n = 11.840 ), misura adottata da precedenti studi comparativi15,17. Questa misura si basa esclusivamente su individui morti, ignorando le registrazioni incomplete di animali vivi, introducendo potenzialmente pregiudizi nelle stime di mortalità per cancro. Pertanto, abbiamo anche calcolato l'incidenza cumulativa della mortalità per cancro (di seguito ICM), una metrica del rischio di mortalità per cancro eliminando potenziali pregiudizi dovuti al mancato rispetto del troncamento sinistro (ovvero, il cancro prima che gli individui entrino nello studio) e della censura destra (individui vivo, quindi con destino sconosciuto all'estrazione dei dati). Utilizzando queste due metriche, abbiamo esplorato la distribuzione filogenetica delle malattie correlate al cancro mortalità tra i mammiferi. Abbiamo quindi studiato il paradosso di Peto e testato se il rischio di mortalità per cancro è associato alla dimensione corporea o al numero medio di anni vissuti dagli adulti nelle popolazioni esplorate (ovvero, l'aspettativa di vita adulta).

Cancro attraverso la filogenesi dei mammiferi

La CMR era molto variabile tra le specie, variando dallo 0% (in 47 specie su 191) al 57,14% nel kowari (Dasyuroides byrnei). La CMR ha superato il 10% in 41 specie (21,5% di tutte le specie ispezionate), indicando che il processo oncogenico è una fonte prevalente di mortalità di molte specie di mammiferi distribuite lungo la filogenesi, almeno nelle popolazioni gestite (Fig. 1). ICM ha mostrato una forte coerenza con CMR (test di correlazione di Pearson, r = 0,89, t = 25,14, df = 170, P <0,0001). Tuttavia, tutti i modelli sono stati eseguiti utilizzando entrambe le metriche per verificare la coerenza dei risultati.
La variazione tra specie nel rischio di cancro ha mostrato un forte segnale filogenetico22 (CMR: n = 191, λ = 0,87, P <0,0001; ICM: n = 172, λ = 0,69, P <0,0001). Per esplorare questo, abbiamo confrontato il rischio di cancro tra ordini di mammiferi rappresentati da almeno due specie utilizzando regressioni lineari. I risultati hanno indicato che il segnale filogenetico era principalmente guidato dal RISCHIO di MORTALITA' per CANCRO nei CARNIVORI, che era significativamente più alto rispetto ai PRIMATI o agli ARTIODATTILI (Tabella dati estesa 1, Fig. 1 e Dati estesi Fig. 1). Entrambe le metriche del rischio di mortalità per cancro hanno indicato che Artiodactyla è l'ordine di mammiferi meno incline al cancro, nonostante la frequenza di specie di grosso corpo in questo gruppo (Tabella dati estesa 1).
In precedenza è stato segnalato un elevato rischio di cancro nelle popolazioni gestite di CARNIVORI 23,24. Possibili spiegazioni includono l'uso della contraccezione ormonale (ad esempio, i progestinici) e il rinvio della gravidanza nei carnivori dello zoo, entrambi fattori di rischio significativi per alcuni tumori negli esseri umani e nei felini non domestici24-26. Ciò nonostante, se la contraccezione fosse il fattore chiave che determina un elevato rischio di cancro in Carnivora, in questo gruppo ci si aspetterebbe un significativo pregiudizio sessuale nel rischio di cancro, poiché la contraccezione ormonale viene solitamente somministrata alle femmine. Per testare la distorsione sessuale nel rischio di cancro tra i carnivori, abbiamo stimato CMR e ICM specifici per sesso (solo specie con un minimo di dieci maschi e dieci femmine con record patologici post mortem disponibili: n = 36 e n = 30 specie, rispettivamente) . Il confronto a coppie tra i sessi NON ha rivelato pregiudizi sessuali in nessuna delle due misure del rischio di mortalità per cancro (t-test filogenetici accoppiati, CMR: t = 0,52, df = 33, P = 0,6061; ICM: t = -0,6815, df = 27, P = 0,5014 ) (rif. 23). Pertanto, è improbabile che il rischio generalmente elevato di cancro nei carnivori sia determinato esclusivamente dagli effetti cancerogeni della gestione riproduttiva nelle popolazioni dei giardini zoologici.
Una DIETA ricca di grassi e povera di fibre, un noto fattore di rischio per la carcinogenesi, è stata anche suggerita per spiegare l'elevato rischio di cancro nei CARNIVORI26,27. Inoltre, i carnivori sono in cima alla catena alimentare, esponendoli agli effetti bio-amplificati dei composti cancerogeni28, come gli inquinanti26. È importante sottolineare che il consumo di CARNE CRUDA può anche esporre i carnivori a patogeni che possono guidare la trasformazione oncogenica29. Ad esempio, negli esseri umani è stato stimato che il 10-20% di tutti i tumori sono di origine virale30. Mentre questa cifra è sconosciuta in qualsiasi altra specie animale29, è discutibile che il consumo di CARNE CRUDA potrebbe esacerbare la diffusione di agenti patogeni cancerogeni31. Esplorare l'associazione tra dieta e rischio di cancro potrebbe aiutare a districare le influenze di questi fattori di rischio.
Per esplorare il legame tra dieta carnivora e rischio di cancro, abbiamo raccolto dati sulla dieta naturale della specie (ovvero il consumo di animali, inclusi invertebrati o vertebrati, e in particolare di pesci, rettili, uccelli e mammiferi) dalla letteratura32. Le regressioni filogenetiche dei minimi quadrati generalizzati (PGLS) che controllano le differenze di longevità e massa corporea eseguite separatamente per ciascun elemento della dieta (Fig. 2, Dati estesi Fig. 2 e 3 e Dati estesi Tabella 2) hanno indicato che le specie con diete a base di animali hanno rischi di mortalità per cancro paragonabili (sia CMR che ICM) a specie che consumano animali raramente o mai. Tuttavia, il CONSUMO di PREDE VERTEBRATE ma non invertebrate era associato a un aumento del rischio di mortalità per cancro. Nello specifico, i MAMMIFERI che consumavano frequentemente PREDE di MAMMIFERI avevano un RISCHIO di MORTALITA' per CANCRO significativamente PIU' ELEVATO rispetto ai MAMMIFERI che consumano raramente o MAI ALTRI MAMMIFERI. Differenze simili non sono state rilevate nel caso di frequenze di pesci, rettili o uccelli rapaci. Questi risultati indicano che una dieta carnivora ha costi significativi in termini di maggiore predisposizione oncogenica tra i mammiferi, in particolare per DIETE ricche di PREDE di MAMMIFERI. L'associazione non significativa tra il rischio di mortalità per cancro e il contenuto dietetico di invertebrati, pesci, rettili o uccelli indica che il bioingrandimento è una fonte meno probabile di elevato rischio di cancro tra i carnivori. Tuttavia, il numero limitato di specie che consumano principalmente queste prede nel nostro campione non consente conclusioni definitive riguardo a questa ipotesi. Al contrario, il risultato che i mammiferi che consumano altri mammiferi sembrano avere il più alto rischio di cancro di tutte le categorie dietetiche è coerente con un'origine patogena dell'elevato rischio di mortalità per cancro tra i carnivori. Il salto dell'ospite di agenti patogeni è più probabile che si verifichi nel caso di prossimità filogenetica tra la preda del serbatoio e la specie predatrice33, rendendo una trasmissione da mammifero a mammifero lo scenario di salto dell'ospite più probabile. Questi risultati suggeriscono che l'oncogenesi guidata dai patogeni potrebbe avere un ruolo considerevole nel modellare il rischio di mortalità per cancro nei mammiferi e sollecita la ricerca di agenti patogeni in vari tipi di cancro, considerando la notoria difficoltà di dimostrare le proprietà oncogeniche dei patogeni30. In alternativa, l'elevato rischio di cancro negli animali carnivori potrebbe essere correlato alla loro bassa diversità del microbioma34, all'esercizio fisico limitato sotto la cura dell'uomo o ad altri aspetti della loro fisiologia. Tuttavia, la mancanza di bias in questi risultati, causata da potenziali alterazioni nella dieta dei carnivori ospitati, dovrebbe essere confermata studiando le popolazioni naturali. È importante sottolineare che questi risultati riflettono probabilmente un legame evolutivo complesso, forse indiretto, tra dieta e vulnerabilità al cancro; pertanto, l'effetto del consumo di carne sul rischio di cancro deve essere interpretato con cautela.

Prova del paradosso di Peto

A causa dell'elevato numero di stime del rischio di mortalità per cancro pari a zero e quindi delle distribuzioni non gaussiane, i rischi di cancro sono stati analizzati utilizzando modelli filogenetici (metodi) zero gonfiati, in funzione della dimensione del campione, della massa corporea e dell'aspettativa di vita. La probabilità di rilevare almeno un individuo con cancro in una specie è aumentata notevolmente con l'aumento del numero di individui con record patologici post mortem disponibili (Tabella dati estesa 3). Infatti, il cancro è stato rilevato in almeno un individuo in quasi tutte le specie con più di 82 record patologici individuali disponibili (Extended Data Figs. 4 e 5). Le eccezioni sono state il blackbuck (Antilope cervicapra) e il mara della Patagonia (Dolichotis patagonum), dove NON è stato rilevato alcun cancro nonostante fossero disponibili registrazioni patologiche post-mortem per 196 e 213 individui, rispettivamente.
Ciò evidenzia la quasi universalità dei fenomeni oncogenici tra i mammiferi, dimostrando che con un campionamento adeguato è probabile che il cancro venga rilevato in tutti i mammiferi. I nostri risultati sottolineano ulteriormente il fatto che alcuni membri dell'ordine Artiodactyla, oltre ai roditori, sono particolarmente resistenti al cancro. I roditori sono stati a lungo oggetto di esame nella ricerca dei meccanismi naturali di resistenza al cancro35, a causa della notoriamente bassa incidenza del cancro in alcune specie36. Tuttavia, il rischio di mortalità per cancro nel nostro set di dati era più basso tra i ruminanti, in conformità con la segnalazione di casi di cancro rari in questo gruppo tassonomico15,37. Ciò indica che altri gruppi di mammiferi, in particolare Artiodactyla, potrebbero fungere da organismi modello informativi nella ricerca sul cancro.
La probabilità di rilevare il cancro (CMR: n = 188; ICM: n = 141) (Extended Data Table 3 e Extended Data Figs. 4 e 5), così come il rischio di mortalità per cancro diverso da zero (CMR: n = 141; ICM : n = 128) (Tabella dati estesa 3 e Fig. 3), tendeva a diminuire con masse corporee maggiori e ad aumentare con aspettative di vita più lunghe. Questi effetti non erano significativi ed erano coerenti tra le due metriche di mortalità per cancro. Queste associazioni erano anche in gran parte indipendenti l'una dall'altra ed erano simili nei modelli a predittore singolo (tabella supplementare 3). L'effetto della massa corporea sul rischio di cancro era anche leggermente negativo, ma i modelli indicavano solo una diminuzione del rischio di cancro del 2,8-2,9% per un raddoppio del peso corporeo (ad esempio, le variazioni di CMR dal 3,82% (1 kg) al 3,71% (2 kg), o dal 2,86% (1.024 kg) al 2,78% (2.048 kg), rispettivamente, previsioni ottenute dal modello presentato nella Tabella 3 dei dati estesi, con un'aspettativa di vita arbitraria di 27 anni, Fig. 6). Inoltre, la massa corporea rappresentava solo lo 0,78% della varianza tra specie nel CMR (ovvero, coefficiente di determinazione parziale). Allo stesso modo, il rischio di mortalità per cancro è aumentato solo in minima parte e in modo non significativo con una maggiore aspettativa di vita, indicando un aumento del 24,7-25,2% del rischio di cancro per un raddoppio dell'aspettativa di vita adulta (ad esempio, la CMR cambia dallo 0,89% (1 anno) a 1,18 % (2 anni), o dal 2,80% (16 anni) al 3,72% (32 anni), rispettivamente, previsioni ottenute dal modello presentato nella Tabella 3 dei dati estesi con una massa corporea arbitraria di 10 kg, Dati estesi Fig. 6) . L'aspettativa di vita adulta rappresentava solo il 2,94% della varianza osservata nel CMR (ovvero, coefficiente di determinazione parziale). Nel complesso, questi risultati forniscono il supporto su larga scala e più robusto alle componenti delle dimensioni corporee e dell'aspettativa di vita del paradosso di Peto nei mammiferi. Suggeriscono che l'estensione della durata della vita e le maggiori dimensioni del corpo si siano evolute congiuntamente con migliori meccanismi antitumorali tra i mammiferi.
Dalla prima indicazione di differenze di specie nella predisposizione al cancro, è stata condotta un'intensa ricerca per identificare i meccanismi
35 che spiegano la resistenza al cancro in alcune specie, principalmente roditori, e animali molto grandi17. Sebbene questi studi abbiano dimostrato meccanismi antitumorali chiave specie-specifici17,28,35, rimane una notevole lacuna nelle nostre conoscenze sulla diversità tassonomica e filogenetica e distribuzione dei meccanismi di soppressione del tumore. I nostri risultati forniscono una solida base per studi futuri che esaminino queste domande, fornendo informazioni sulla generalità e la frequenza dei fenomeni oncogeni attraverso la filogenesi dei mammiferi. Sottolineiamo anche le eccezionali risorse fornite dagli zoo per gli studi sul cancro nella fauna selvatica35,36.
Il nostro studio indica che la morte per fenomeni oncogeni è frequente e tassonomicamente diffusa nei mammiferi. In alcune specie più del 20-40% della popolazione adulta gestita muore per patologie legate al cancro. Questa stima è sbalorditiva, soprattutto sapendo che le incidenze di cancro qui stimate sono prudenti (metodi). Questa osservazione sollecita l'ampia esplorazione del cancro nella fauna selvatica, specialmente nel contesto delle recenti perturbazioni ambientali38, come seria minaccia per il benessere degli animali29.

Contenuti in linea

Eventuali metodi, riferimenti aggiuntivi, sintesi dei rapporti di Nature Research, dati di origine, dati estesi, informazioni supplementari, riconoscimenti, informazioni sulla revisione tra pari; dettagli sui contributi degli autori e interessi concorrenti; e le dichiarazioni sulla disponibilità di dati e codici sono disponibili su https://doi.org/10.1038/s41586-021-04224-5.

1. Leroi, A. M., Koufopanou, V. & Burt, A. Selezione del cancro. Nat. Rev. Cancro 3, 226–231 (2003).
2. Armitage, P. & Doll, R. La distribuzione per età del cancro e una teoria a più stadi della carcinogenesi. Fr. J. Cancro 8, 1–12 (1954).
3. Wirén, S. et al. Studio di coorte raggruppato su altezza e rischio di cancro e morte per cancro. Il cancro causa il controllo 25, 151–159 (2014).
4. Fleming, J. M., Creevy, K. E. & Promislow, D. E. L. Mortalità nei cani nordamericani dal 1984 al 2004: un'indagine sulle cause di morte legate all'età, alla taglia e alla razza. J. veterinario. Stagista. Med. 25, 187–198 (2011).
5. Nunney, L. Selezione del lignaggio e l'evoluzione della cancerogenesi multistadio. Proc. Soc.R. B 266, 493–498 (1999).
6. Peto, R. in Origins of Human Cancer Vol 45 (eds. Hiatt, H. et al.) 1403–1428 (Cold Spring Harbor Laboratory, 1977).
7. Couzin-Frankel, J. La sfortuna del cancro. Scienza 347, 12 (2015).
8. Chatterjee, N. & Walker, GC Meccanismi di danno, riparazione e mutagenesi del DNA.
Dintorni. Mol. Mutageno. 58, 235–263 (2017).
9. Nunney, L. La vera guerra al cancro: le dinamiche evolutive della soppressione del cancro.
Evol. Appl. 6, 11–19 (2013).
10. Ujvari, B., Roche, B. & Thomas, F. Ecology and Evolution of Cancer (Academic, 2017).
11. Nunney, L. Le dimensioni contano: altezza, numero di cellulare e rischio di cancro di una persona. Proc. Soc.R. B
285, 20181743 (2018).
12. Caulin, A. F. & Maley, C. C. Il paradosso di Peto: la prescrizione dell'evoluzione per la prevenzione del cancro.
Tendenze Ecol. Evol. 26, 175-182 (2011).
13. Nunney, L., Maley, C. C., Breen, M., Hochberg, M. E. & Schiffman, J. D. Peto's paradox and
la promessa dell'oncologia comparata. Filos. Trans. Soc.R. B 370, 20140177 (2015). 14. Peto, R. Epidemiologia, modelli multistadio e test di mutagenicità a breve termine. Int. J.
Epidemia. 45, 621–637 (2016).
15. Boddy, AM et al. Prevalenza del cancro a vita e tratti della storia della vita nei mammiferi. Evol.
Med. Salute pubblica 2020, 187–195 (2020).
16. Møller, A. P., Erritzøe, J. & Soler, J. J. Storia della vita, immunità, paradosso di Peto e tumori in
uccelli. J.Evol. Biol. 30, 960–967 (2017).
17. Abegglen, LM et al. Potenziali meccanismi per la resistenza al cancro negli elefanti e
risposta cellulare comparativa al danno del DNA negli esseri umani. JAMA 314, 1850–1860
(2015).
18.Tollis, M. et al. I genomi degli elefanti rivelano un'evoluzione accelerata nei meccanismi sottostanti
difese della malattia. Mol. Biol. Evol. 38, 3606–3620 (2021).
19. Condé, D.A. et al. Lacune nei dati e opportunità per la biologia comparativa e della conservazione.
Proc. Nazionale Acad. Sci. USA 116, 9658–9664 (2019).
20. Ronget, V. & Gaillard, J. M. Valutazione dei modelli di invecchiamento per analisi comparative di
curve di mortalità: andare oltre l'uso della massima longevità. Funz. Ecol. 34, 65–75
(2020).
21. Tidiere, M. et al. Le analisi comparative di longevità e senescenza rivelano variabili
vantaggi di sopravvivenza di vivere negli zoo attraverso i mammiferi. Sci. Rep. 6, 36361 (2016).
22. Revell, L. J. phytools: un pacchetto R per la biologia comparativa filogenetica (e altri
le cose). Metodi Ecol. Evol. 3, 217-223 (2012).
23. Moresco, A. et al. Distribuzione tassonomica delle neoplasie tra le specie feline non domestiche
sotto cura gestita. Animali 10, 2376 (2020).
24. Moresco, A. Gli effetti pro-cancerogeni dei progestinici sui tessuti bersaglio dei carnivori
(2009).
25. Harrenstien, LA et al. Cancro mammario nei felini selvatici in cattività e fattori di rischio per il suo
sviluppo: uno studio retrospettivo del comportamento clinico di 31 casi. J. Zoo Wildl. Med.
27, 468–476 (1996).
26. Munson, L. & Moresco, A. Patologia comparativa dei tumori della ghiandola mammaria in
animali domestici e selvatici. Malattia del seno 28, 7–21 (2007).
27. Chao, A. et al. Consumo di carne e rischio di cancro colorettale. GIAMA 293, 172–182
(2005).
28. Kelly, B. C., Ikonomou, M. G., Blair, J. D., Morin, A. E. & Gobas, F. A. P. C. Biomagnificazione specifica della rete alimentare di inquinanti organici persistenti. Scienza 317, 236–239 (2007).
29. Pesavento, P. A., Agnew, D., Keel, M. K. & Woolard, K. D. Cancro nella fauna selvatica: modelli di emergenza. Nat. Rev. Cancro 18, 646–661 (2018).
30. Bogolyubova, A. V. Virus oncogeni umani: vecchi fatti e nuove ipotesi. Mol. Biol. 53, 767–775 (2019).
31. Khatami, A. et al. Virus della leucemia bovina (BLV) e rischio di cancro al seno: una revisione sistematica e una meta-analisi di studi caso-controllo. Infettare. Agenti Cancro 15, 48 (2020).
32. Kissling, WD et al. Stabilire set di dati sui tratti macroecologici: digitalizzazione, estrapolazione e convalida delle preferenze dietetiche nei mammiferi terrestri in tutto il mondo. Ecol. Evol. 4, 2913–2930 (2014).
33. Olival, K.J. et al. I tratti dell'ospite e del virus predicono lo spillover zoonotico dai mammiferi. Natura 546, 646–650 (2017).
34. Ley, RE et al. Evoluzione dei mammiferi e dei loro microbi intestinali. Scienza 320, 1647–1651 (2008).
35. Seluanov, A., Gladyshev, V. N., Vijg, J. & Gorbunova, V. Meccanismi di resistenza al cancro nei mammiferi longevi. Nat. Rev. Cancer 18, 433–441 (2018).
36. Herrera-Álvarez, S., Karlsson, E., Ryder, O. A., Lindblad-Toh, K. & Crawford, A. J. Come creare un roditore gigante: basi genomiche e compromessi del gigantismo nel capibara, il roditore più grande del mondo. Mol. Biol. Evol. 38, 1715-1730 (2021).
37. Albuquerque, T. A. F., Drummond do Val, L., Doherty, A. & de Magalhães, J. P. Dagli umani all'idra: modelli di cancro attraverso l'albero della vita. Biol. Rev. 93, 1715–1734 (2018).
38. Giraudeau, M., Sepp, T., Ujvari, B., Ewald, P. W. & Thomas, F. Le attività umane potrebbero influenzare i processi oncogeni nelle popolazioni di animali selvatici. Nat. Ecol. Evol. 2, 1065–1070 (2018).
Nota dell'editore Springer Nature rimane neutrale per quanto riguarda le rivendicazioni giurisdizionali nelle mappe pubblicate e le affiliazioni istituzionali.
Open Access Questo articolo è concesso in licenza con una licenza internazionale Creative Commons Attribution 4.0, che consente l'uso, la condivisione, l'adattamento, la distribuzione e la riproduzione in qualsiasi mezzo o formato, purché tu dia un'adeguata
citare l'autore o gli autori originali e la fonte, fornire un collegamento alla licenza Creative Commons e indicare se sono state apportate modifiche. Le immagini o altro materiale di terze parti in questo articolo sono inclusi nella licenza Creative Commons dell'articolo, se non diversamente indicato in una linea di credito al materiale. Se il materiale non è incluso nella licenza Creative Commons dell'articolo e l'uso previsto non è consentito dalla normativa legale o eccede l'uso consentito, sarà necessario ottenere l'autorizzazione direttamente dal detentore del copyright. Per visualizzare una copia di questa licenza, visitare http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/.
© L'autore(i) 2021

Article

Methods

Documentare il cancro negli animali selvatici è estremamente impegnativo nella maggior parte dei casi a causa della mancanza di informazioni sull'età degli individui, della difficoltà di recuperare i corpi per l'autopsia e della probabilità che il cancro influisca negativamente sulla sopravvivenza prima che il cancro stesso possa essere rilevato. Sebbene i dati sull'incidenza del cancro da popolazioni selvatiche sarebbero indispensabili per descrivere l'incidenza naturale di tumori maligni, tali dati, in particolare con età e storie demografiche corrispondenti, sono purtroppo ancora lontani dalla nostra portata. Pertanto, per stimare il rischio di mortalità per cancro, abbiamo utilizzato i dati forniti da Species360 e Zoological Information Management System (ZIMS, Data Use Approval Number 73836), un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che mantiene un database centralizzato e in tempo reale di animali sotto cura umana (raggruppamento di informazioni provenienti da oltre 1.200 giardini zoologici in tutto il mondo). Sebbene riconosciamo che l'interpretazione dei dati raccolti sugli animali dei giardini zoologici richieda cautela, a causa del forte controllo umano sulla dieta, la salute, i fattori di mortalità, l'ambiente o le funzioni biologiche standard degli animali, i giardini zoologici forniscono una risoluzione dei dati eccezionalmente elevata sulla demografia e sulla causa di morte per una vasta gamma di specie. Qui ci basiamo sull'elevata probabilità di recupero del corpo degli animali dello zoo deceduti e sull'autopsia eseguita di routine sulla maggior parte di essi (a meno che non siano trovati in uno stadio avanzato di decomposizione), con l'obiettivo di identificare la patologia più probabile che causa la morte dell'animale. È probabile che questi esami rivelino la maggior parte dei tumori solidi, ma (sebbene possibile) è improbabile che vengano registrati qui tumori benigni, tumori liquidi (ad esempio, leucemia) o tumori in stadio iniziale, a causa della loro difficoltà diagnostica o della loro percezione limitata ruolo nel contribuire alla morte dell'animale.
Nello specifico, qui utilizziamo il modulo di allevamento di ZIMS, che fornisce informazioni su nascita, morte, sesso e categorie predefinite di risultati patologici, comprese le neoplasie (per definizione tumori che hanno contribuito alla morte, sebbene senza alcuna opzione per specificare il cancro tipo o altri dettagli). Non sono stati utilizzati metodi statistici per predeterminare la dimensione del campione, ma per ridurre al minimo i bias causati dalla potenziale eterogeneità temporale nelle pratiche di gestione dei dati e nella registrazione delle necroscopie15, qui ci siamo concentrati su individui vivi o nati dopo il 1° gennaio 2010 (estrazione dei dati: 30 maggio 2020 ). Questo campione è stato quindi utilizzato per caratterizzare le aspettative di vita e l'incidenza del cancro specifiche per specie, ma solo dopo l'esclusione dei dati che non soddisfacevano una serie di criteri, per garantire la qualità dei dati più elevata e omogenea possibile. In primo luogo, il cancro è una malattia legata all'età che si verifica raramente nei giovani e i tumori pediatrici sono solitamente distinti dal punto di vista medico dai tumori degli adulti. Pertanto, le differenze di mortalità infantile osservate tra le specie possono confondere in modo significativo le stime di incidenza del cancro. Pertanto, abbiamo raccolto età specifiche per sesso o specie (ove la prima non fosse disponibile) alla maturità sessuale e abbiamo considerato gli individui per le analisi solo se hanno raggiunto la maturità prima o durante il nostro periodo di campionamento. Per gli individui di sesso sconosciuto (circa il 12% di tutti gli individui nell'estratto di dati grezzi), l'età massima alla maturità sessuale di maschi e femmine è stata utilizzata come soglia di età di inclusione. L'età specifica per sesso alla maturità sessuale per ciascuna specie è stata ottenuta da Conde et al.19 o da risorse di letteratura pubblicate (vedere fonti di dati in https://github.com/OrsolyaVincze/VinczeEtal2021Nature/blob/main/SupplementaryData.xls). In secondo luogo, dato che l'età è un fattore predittivo chiave dell'insorgenza del cancro, abbiamo considerato solo gli individui per i quali la data di nascita è stata registrata con precisione o entro un intervallo di tempo ristretto (massimo 30 giorni). In terzo luogo, abbiamo considerato solo le specie in cui erano disponibili registrazioni patologiche post mortem per almeno 20 individui adulti, indipendentemente dalla causa della morte (ad esempio, infezione, incidente, malattia geriatrica e così via). Tuttavia, i modelli presentati sono stati eseguiti con soglie aumentate di 40, 60, 80 e 100 individui per verificare la coerenza dei risultati (tabella supplementare 2). In quarto luogo, dato che il processo di addomesticamento è ampiamente considerato come uno dei principali fattori che contribuiscono alla depressione da consanguineità e alla maggiore incidenza di cancro39, abbiamo escluso tutte le specie che erano soggetti all'addomesticamento così come i loro antenati selvatici (i taxa esclusi perché soggetti all'addomesticamento sono elencati nella Tabella 1 supplementare). A seguito di queste restrizioni, l'estrazione dei dati sull'età e sulla causa della morte ha prodotto informazioni per 110.148 (62.556 vivi e 47.592 morti) individui (n = 191 specie). Per il calcolo dell'ICM, abbiamo incluso solo le specie in cui la sopravvivenza è stimata correttamente fino alla vecchiaia (ovvero, dati che consentono la stima della sopravvivenza specifica per età fino all'età in cui sopravvive solo il 10% degli individui, n = 172 specie). Sebbene queste restrizioni abbiano rimosso molteplici fonti di distorsione nelle nostre stime del rischio di mortalità per cancro, non possiamo escludere la possibilità che alcune specie (ad esempio quelle più carismatiche) siano soggette a necroscopie più frequenti o più dettagliate. Tuttavia, il nostro approccio statistico, in particolare l'analisi completa del caso, è in gran parte insensibile a tali pregiudizi, poiché gli individui che non dispongono di record diagnostici post mortem disponibili sono considerati censurati (vedi sotto). Inoltre, mentre la profondità dell'autopsia può variare leggermente tra le specie, le neoplasie che hanno contribuito in modo significativo alla morte degli animali (il fulcro del nostro studio) sono generalmente rilevate anche in autopsie grossolane. Inoltre, le specie di grandi dimensioni sono considerate di importanza fondamentale per i giardini zoologici, riflesso anche dal fatto che la proporzione di individui morti con record patologici post mortem è maggiore nelle specie più grandi (correlazione di Pearson: r = 0,24, t = 3,35, df = 189, P = 0,001). Di conseguenza, se il carisma avesse un ruolo nella rilevazione del cancro, ci aspetteremmo un rischio di cancro maggiore nei grandi mammiferi, opposto all'effetto di massa corporea negativo (non significativo) nei nostri modelli. Di conseguenza, riteniamo improbabile che il carisma rappresenti una delle principali fonti di parzialità nella nostra analisi.

Stima dell'aspettativa di vita adulta

Poiché non abbiamo motivo di credere che gli individui censurati non avrebbero la stessa prospettiva di sopravvivenza di quelli che continuano ad essere seguiti, stimiamo l'aspettativa di vita adulta dalla sopravvivenza specifica per età stimata utilizzando la procedura di Kaplan-Meier (utilizzando la funzione survfit - zione nel pacchetto R survival40). Gli individui di età superiore alla loro età alla maturità sessuale il 1 ° gennaio 2010 sono stati troncati alla loro età in questa data; gli individui che raggiungevano la maturità sessuale dopo questa data venivano troncati alla loro età alla maturità sessuale. Gli individui ancora vivi al momento dell'estrazione dei dati sono stati considerati censurati a destra (i campioni per specie variavano da 42 a 5.816 individui), mentre gli individui a destino noto sono stati assegnati come morti (n = 47.592), indipendentemente dal fatto che la loro causa di morte fosse specificato o meno.

Stima dell'ICM

L'ICM è stato calcolato utilizzando un approccio al rischio competitivo, basato sul rischio cumulativo di decessi correlati al cancro e sulla probabilità di sopravvivenza delle specie sottoposte a cure umane. In primo luogo, la sopravvivenza specifica per età Sx, all'età x, è stata stimata dall'analisi KM come sopra. Tuttavia, qui abbiamo eseguito un'analisi completa del caso, utilizzando solo 11.840 individui per i quali è stata specificata la causa della morte insieme ai sopravvissuti censurati a destra. L'analisi del caso completo presuppone che la mancanza nella causa del fallimento sia casuale, ma non avevamo motivo di credere che non fosse così nel nostro set di dati. Gli esami post mortem vengono eseguiti di routine sulla maggior parte dei corpi recuperati nei giardini zoologici e, una volta eseguiti gli esami, è altrettanto probabile che i risultati vengano inseriti nella banca dati indipendentemente dalle patologie identificate. Le stime ICM erano quindi basate su n = 74.396 individui, n = 179 specie. In secondo luogo, il rischio di mortalità per cancro hcx è stato stimato utilizzando un'analisi KMx1 in cui solo i decessi per cancro sono stati incorporati come evento di morte. ICM è quindi tale che ICM= ∑ S hc 

x=α x x

dove α è l'età alla maturità sessuale. L'unica differenza con la stima classica è che abbiamo estratto hcx (e Sx) per ogni unità di tempo con discreti salti (e cadute) ai tempi degli eventi all'età t e con hct≤x<t+1 = 0 (costante Sx) tra questi eventi ; invece di stimare discreto
 hazard hc = dc/n su questi intervalli di tempo (dove dc è il numero di ttt t
decessi per cancro all'interno dell'intervallo e nt è il numero di sopravvissuti all'inizio dell'intervallo). Abbiamo scelto questo metodo per riflettere la vera variazione nei dati per il confronto inter-specifico in cui le specie differiscono notevolmente nel numero di eventi e nell'intervallo di tempo tra questi (a volte un terzo della durata della vita adulta dell'organismo), una situazione raramente incontrata quando si confrontano gruppi umani.

Covariate e analisi statistiche

Per ogni specie, abbiamo ottenuto dati sulla massa corporea degli adulti specifici per sesso dallo ZIMS di Species360 (vedi https://github.com/OrsolyaVincze/VinczeEtal 2021Nature/blob/main/SupplementaryData.xls). La massa corporea specifica per specie è stata calcolata come media di tutte le misurazioni della massa corporea registrate nel database ZIMS negli adulti, mentre i valori specifici per specie sono stati ottenuti calcolando la media delle masse corporee di maschi e femmine. Questi sono stati calcolati solo nelle specie per le quali esistevano almeno 100 registrazioni di massa corporea adulta; in caso contrario, la massa corporea è stata presa dalla letteratura e dalla revisione del database di Conde et al.19. Abbiamo verificato che esisteva una corrispondenza uno a uno nelle informazioni sulla massa corporea per le specie con record in entrambi i set di dati.
Le informazioni sulla dieta sono state ottenute da un set di dati sulla dieta globale per i mammiferi terrestri32, fornendo informazioni sulla composizione della dieta a quattro livelli gerarchici di alimenti (mai consumati, consumati occasionalmente, alimenti secondari, alimenti primari). Abbiamo raccolto informazioni sul contenuto di animali nella dieta, nonché sottocategorie di questa classe dietetica, vale a dire il consumo di invertebrati o vertebrati, nonché in particolare il consumo di pesci, rettili, uccelli e mammiferi. Dato che la maggior parte degli alimenti aveva poche specie nei livelli intermedi (consumo occasionale e alimento secondario), abbiamo riclassificato le variabili dietetiche a due livelli: mai/raramente consumate o che rappresentano l'alimento primario/secondario della specie. L'effetto della dieta è stato testato nelle regressioni PGLS utilizzando solo specie con rischi di mortalità per cancro diversi da zero. I modelli sono stati eseguiti separatamente per ciascun alimento inserito in un modello di base che includeva la massa corporea e l'aspettativa di vita adulta come covariate. I risultati sono mostrati nella tabella dei dati estesi 2.
Per tenere conto della non indipendenza statistica dovuta alle relazioni filogenetiche, abbiamo ottenuto un campione di 1.000 alberi filogenetici ugualmente plausibili, dalla distribuzione posteriore pubblicata da Upham et al.41, che copre 5.911 specie. Abbiamo quindi ottenuto un albero di consenso radicato utilizzando la libreria Python sumtrees42. Due specie recentemente elevate a livello di specie sono state manualmente aggiunte all'albero come taxa fratelli della specie da cui è stato recentemente separato (ovvero Cervus canadensis a Cervus elaphus e Gazella marica a Gazella subgutturosa). Il segnale filogenetico del rischio di cancro è stato valutato utilizzando la funzione phylosig dal pacchetto R phytools22. I coefficienti parziali delle determinazioni sono stati calcolati utilizzando la funzione R2.pred dal pacchetto R rr2 (rif. 43), sulla base dei modelli presentati nella Tabella dati estesa 3.
Modelli di test del rischio di cancro Il paradosso di Peto è stato eseguito utilizzando modelli logistici zero gonfiati, che ci consentono di fare inferenze sulla probabilità di rilevare almeno un caso di cancro nella specie e, dato che il cancro è stato rilevato, inferenze sul CMR o ICM. Pertanto, la prima parte di questo consisteva in una regressione binomiale filogenetica (usando la funzione binaryPGLMM, nel pacchetto R ape44), dove la variabile dipendente spiegava la presenza di zeri e non-zero in CMR o ICM. Questo modello conteneva il numero di registro di individui deceduti con record patologici post-mortem disponibili come variabile esplicativa, a causa della maggiore probabilità di rilevare il cancro con un numero maggiore di individui morti ispezionati. Inoltre, il modello conteneva la massa corporea e l'aspettativa di vita adulta come covariate. La seconda parte del modello consisteva in una regressione PGLS che studiava la varianza solo nei rischi di cancro diversi da zero. ICM e CMR sono stati trasformati logit in tutti i modelli PGLS come raccomandato durante l'analisi delle proporzioni45. Questi modelli sono stati ponderati in base al numero log di individui deceduti con record patologici post-mortem disponibili, poiché si prevede che la precisione delle stime del rischio di mortalità per cancro aumenti con il numero di individui morti sottoposti a esame post mortem, ma non si prevede che spieghi la distorsione nella stima della variabile dipendente in una particolare direzione (come nel caso dei modelli binomiali). Questi modelli contenevano anche la massa corporea e l'aspettativa di vita adulta come variabili esplicative. Dato l'effetto additivo atteso della massa corporea e della longevità, l'interazione tra massa corporea e metriche di longevità è stata testata anche in tutti e quattro i modelli (regressioni binomiali e logistiche per CMR e ICM), ma queste interazioni non hanno in ogni caso aumentato l'adattamento del modello e lo sono quindi non presentato. Entrambi i modelli sono stati controllati per la parentela filogenetica tra le specie, dove il parametro di ridimensionamento della dipendenza filogenetica (ovvero, s2/Pagel's λ in PGLMM e PGLS rispettivamente) è stato impostato sui valori più appropriati valutati dalla statica del rapporto di verosimiglianza in ciascun modello separatamente. I modelli PGLS in cui la λ di Pagel convergeva a valori negativi sono stati riadattati con la λ di Pagel fissata a 0. Tre specie (Lagurus lagurus, Cricetus cricetus e Dasyuroides byrnei) erano state rimosse da questi ultimi modelli, a causa della loro elevata influenza causata dalla loro bassissima aspettativa di vita rispetto al resto della specie e quindi preoccupazione per la forte influenza di questi punti sull'adattamento del modello. Tuttavia, tutti i modelli sono stati eseguiti utilizzando l'intero set di dati e i risultati sono stati altamente coerenti con e senza le esclusioni (Tabella supplementare 4 e Dati estesi Fig. 7).
Le differenze di ordine nell'incidenza del cancro sono state testate utilizzando regressioni lineari standard, costruite utilizzando solo ordini tassonomici in cui almeno due specie avevano la loro incidenza del cancro stimata. Il modello conteneva CMR o ICM (non trasformato) come variabili dipendenti e ordine come unico fattore esplicativo. Le differenze di ordine a coppie sono state valutate utilizzando il pacchetto R emmeans46. Tutte le analisi sono state eseguite nell'ambiente statistico e di programmazione R, versione 4.0.4 (rif. 47). I rischi di mortalità per cancro sono stati trasformati in percentuali in cifre e nell'analisi eseguita sulle differenze di ordine (Extended Data Table 1), per una più facile interpretazione. I modelli presentati nelle tabelle di dati estesi 2 e 3 e nelle tabelle supplementari 2-4 si basano sulle probabilità.

Riepilogo dei rapporti

Ulteriori informazioni sulla progettazione della ricerca sono disponibili nel Nature Research Reporting Summary collegato a questo documento.

Disponibilità dei dati

I dati utilizzati per l'analisi presentata nel documento sono disponibili su https://github.com/OrsolyaVincze/VinczeEtal2021Nature/blob/main/SupplementaryData.xls. I dati grezzi utilizzati per stimare il rischio di cancro (Species360 Data Use Approval Number 73836) non possono essere condivisi pubblicamente, poiché Species360 è il custode (non il proprietario) dei dati dei propri membri. I dati grezzi sono accessibili tramite le applicazioni di richiesta di ricerca (modulo disponibile su https://docs.google.com/forms/d/1znoy62VEkDlhAp_0RfEvF7Zsx03g 4W5AlppJHqo3_WQ /viewform?edit_requested=true&pli=1). Le Richieste di ricerca vengono esaminate sia dal Comitato di ricerca di Species360 che dal Consiglio di fondazione ogni quattro mesi. Il consiglio di fondazione prende la decisione finale sulla condivisione dei dati, sulla base delle raccomandazioni del comitato di ricerca. Una volta che Species360 concede l'accesso ai dati, questi sono destinati esclusivamente e limitati all'uso nel progetto per cui sono stati approvati e per una singola pubblicazione. Il ricercatore non può utilizzarli per altri progetti, pubblicazioni e/o scopi, né può condividere i dati con terze parti. Per qualsiasi altra richiesta, tutti i dettagli per l'invio di richieste di ricerca a Species360 sono disponibili su https://conservation.species360.org/wp-content/uploads/2020/08/ Species360-Sharing-Data-v3-3_komprimeret .PDF. Qualsiasi comunicazione via e-mail deve essere indirizzata a support@species360.org.

Disponibilità del codice

I dati e il codice R necessari per riprodurre l'analisi sono disponibili pubblicamente su https://github.com/OrsolyaVincze/VinczeEtal2021Nature.
Articolo
39. Tommaso, F. et al. Adattamenti rari e unici al cancro nelle specie domestiche: una risorsa non sfruttata? Evol. Appl. 12920 (2020).
40. Therneau, T. M. & Lumley, T. Pacchetto "sopravvivenza". CRAN (2014).
41. Upham, N. S., Esselstyn, J. A. & Jetz, W. Dedurre l'albero dei mammiferi: insiemi a livello di specie di
filogenesi per questioni di ecologia, evoluzione e conservazione. PLoS Biol. 17,
e3000494 (2019).
42. Sukumaran, J. & Holder, MT DendroPy: una libreria Python per il calcolo filogenetico.
Bioinformatica 26, 1569–1571 (2010).
43. Ives, AR R2 per dati correlati: modelli filogenetici, LMM e GLMM. Sist. Biol. 68,
234–251 (2018).
44. Paradis, E., Claude, J. & Strimmer, K. APE: analisi della filogenetica e dell'evoluzione in R
linguaggio. Bioinformatica 20, 289–290 (2004).
45. Warton, D. I. & Hui, F. K. C. L'arcoseno è asinino: l'analisi delle proporzioni in ecologia.
Ecologia 92, 3–10 (2011).
46. ​​Lenth R. V. emmeans: medie marginali stimate, note anche come medie dei minimi quadrati,
https://cran.r-project.org/package=emmeans (2021).
47. R Core Team. R: Un linguaggio e un ambiente per il calcolo statistico,
http://www.R-project.org/ (R Foundation for Statistical Computing, 2021).

Ringraziamenti 

Siamo grati a P. Bustamante e T. Székely per le critiche costruttive su una versione precedente del manoscritto, ea R. Thompson e A. Teare per le preziose spiegazioni dei dati ZIMS. Siamo grati a più di 1.200 membri di zoo e acquari di Species360 che registrano dati in ZIMS, rendendo possibile questo studio. V.O. è stato finanziato dalla borsa di studio di ricerca János Bolyai dell'Accademia ungherese delle scienze e dal nuovo programma nazionale di eccellenza del Ministero ungherese dell'innovazione e della tecnologia. FT è sostenuto dalla Fondazione MAVA, l'ANR TRANSCAN (ANR-18-CE35-0009) e una sovvenzione di laboratorio associato internazionale del CNRS. C.C.M. e A.M.B. sono stati sostenuti in parte dalla sovvenzione NIH U54 CA217376. C.C.M. è stato anche in parte supportato dalla sovvenzione NIH U2C CA233254, nonché dal CDMRP Breast Cancer Research Program Award BC132057 e dalla sovvenzione della Commissione di ricerca biomedica dell'Arizona ADHS18-198847. DAC è stato finanziato dagli sponsor di Species360 CSA: Copenhagen Zoo, Wildlife Reserves of Singapore e World Association of Zoos and Aquariums. I risultati, le opinioni e le raccomandazioni qui espresse sono quelle degli autori e non necessariamente quelle delle università in cui è stata condotta la ricerca o del National Institutes of Health degli Stati Uniti.

Contributi dell'autore 

O.V. e M.G. contribuito all'ideazione dello studio; OV, FC, MB, MG, DAC, J.-F.L. e S.P. hanno contribuito alla raccolta e all'interpretazione dei dati. V.O. ha eseguito analisi statistiche con il contributo significativo di F.C. e SP; V.O. guidò la stesura del manoscritto; tutti gli autori hanno contribuito all'interpretazione dei risultati e alla scrittura del manoscritto. Tutti gli autori hanno letto e approvato il manoscritto finale.
Interessi in competizione Gli autori non dichiarano interessi in competizione.

Informazioni aggiuntive

Informazioni supplementari 

La versione online contiene materiale supplementare disponibile su https://doi.org/10.1038/s41586-021-04224-5.

La corrispondenza e le richieste di materiale devono essere indirizzate a Orsolya Vincze.

Informazioni sulla revisione tra pari Nature ringrazia Oliver Ryder e gli altri revisori anonimi per il loro contributo alla revisione tra pari di questo lavoro.
Le informazioni sulle ristampe e sui permessi sono disponibili all'indirizzo http://www.nature.com/reprints.

 


 

 

 1CREEC/CANECEV, MIVEGEC (CREES), Università di Montpellier, CNRS, IRD, Montpellier, Francia. 2Littoral, Environnement et Sociétés (LIENSs), UMR 7266 CNRS-La Rochelle Université, La Rochelle, Francia. 3Istituto di ecologia acquatica, Centro per la ricerca ecologica, Debrecen, Ungheria. 4Evolutionary Ecology Group, Dipartimento Ungherese di Biologia ed Ecologia, Università Babeş-Bolyai, Cluj-Napoca, Romania. 5Dipartimento di matematica e informatica, Università della Danimarca meridionale, Odense, Danimarca. 6Centro interdisciplinare sulle dinamiche della popolazione, Università della Danimarca meridionale, Odense, Danimarca. 7Species360 Conservation Science Alliance, Bloomington, MN, USA. 8Laboratoire de Biométrie et Biologie Evolutive, Université de Lyon, Université Lyon 1; CNRS,UMR5558, Villeurbanne, Francia. 9Dipartimento di Biologia, Università della Danimarca meridionale, Odense, Danimarca. 10Eco-Anthropologie (EA), Muséum National d'Histoire Naturelle, CNRS, Université de Paris, Musée de l'Homme, Parigi, Francia. 11 Instituto de Ecologia, UNAM, Città del Messico, Messico. 12 Milner Center for Evolution, Dipartimento di Biologia e Biochimica, Università di Bath, Bath, Regno Unito. 13Centre for Integrative Ecology, School of Life and Environmental Sciences, Deakin University, Geelong, Victoria, Australia. 14Dipartimento di Antropologia, Università della California Santa Barbara, Santa Barbara, CA, USA. 15 Arizona Cancer Evolution Center, Biodesign Institute e School of Life Sciences, Arizona State University, Tempe, AZ, USA. ✉e-mail: vincze.orsolya@ecolres.hu

Nature | Vol601 | 13gennaio2022 | 263