Edema – Dizionario di medicina – (2010) Treccani

edema

Dizionario di Medicina – (2010) – Treccani

Abnorme aumento del liquido interstiziale dei tessuti o di quello contenutonellecavità sierose:pleure, pericardio, peritoneo (e in questo caso si preferisce il termine diIDROPE).

Se gli e. sono generalizzati si parla di ANASARCA.

Eziopatogenesi.

L’e. è causato da un’alterazione dell’equilibrio fra la PRESSIONE IDROSTATICA all’interno dei vasi e quella OSMOTICA del liquido interstiziale.

Alterazioni capillari: un aumento della permeabilità dell’endotelio capillare può essere provocata da cause allergiche, tossiche, batteriche, traumatiche; l’e. è in questi casi accompagnato da altri segni di flogosi.

Ostacoli meccanici al drenaggio venoso e linfatico: patogenesi meccanica hanno gli e. che compaiono in caso di ostruzioneo infiammazione delle vie linfatiche (linfedema)o delle vene (tromboflebiti);l’aumento della pressione idrostatica nei capillari che ne consegue causa ilpassaggio di liquidi dai vasi all’interstizio. Le stesse cause possono provocare ascite e idrotorace.

Iperaldosteronismo secondario : la riduzione della gittata cardiaca nello scompenso cardiaco diminuisce il flusso renale, e di conseguenza si innescano meccanismi di compenso, quali l’aumento di secrezione di renina, angiotensina e aldosterone. Anche nella cirrosi epatica, oltre a cause meccaniche (ipertensione portale e alla disprotidemia esiste un’aumentata increzione di aldosterone che provoca ascite ed e.

Nell’insufficienza renale, sia primitiva che secondaria a cause cardiovascolari, si ha aumento della pressione osmotica del sangue per ritenzione di sodio; in questo caso gli e. sono diffusi e più evidenti dove i tessuti sono lassi (palpebre).

Diminuzione della pressione oncotica del plasma: l’impoverimento in ALBUMINE, che si osserva in caso di cachessia, grave insufficienza del fegato, nefrosi, ecc., provoca gli e. cosiddetti discrasici.

Particolari forme cliniche di edema.

E. da farmaciche si può instaurare con diversi meccanismi: ad es., gli ipotensivi della classe dei calcio-antagonisti provocano e. mediante la vasodilatazione propria di questa classe di farmaci; i FANS e la ciclosporina tramite diminuzione del flusso renale, i cortisoniciper aumento del riassorbimento di sodio.

E. polmonare acutograve insufficienza respiratoria da presenza di liquidi nell’interstizio polmonare; può essere dovuto a varie cause: stasi venosa polmonare per insufficienza cardiaca acuta, polmonite, lesioni nervose, traumi al torace, cause tossiche. Il quadro clinico dell’e. polmonare acuto è caratterizzato da forte dispnea, tosse con escreato abbondante, cianosi, pallore, rantoli diffusi all’auscultazione del torace. Il trattamento della sindrome, che non raramente ha esito infausto, consiste nella somministrazione di diuretici, morfina e ossigeno, con un supporto meccanico ventilatorio quando necessario.

E. del neonatoproprio dei prematuri e deboli congeniti, esposti al freddo e in cattive condizioni igieniche; appare, in genere, nei primi 4 giorni di vita, in forma di infiltrazione della cute, che è pallida, tesa, senza pliche; è accompagnata a ipotermia.

Terapia.

Il trattamento degli e. si identifica con la cura della malattia di cui essi sono un sintomo: diete iposodiche, diuretici, inibitori dell’ACE e dell’angiotensina in caso d’insufficienza cardiaca; trasfusioni di plasma e somministrazione di amminoacidi negli e. discrasici; rimozione delle eventuali ostruzioni meccaniche vascolari; cura della sindrome nefrosica con cortisonici e immunosoppressori, ecc.

 

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La PRESSIONE IDROSTATICA è la forza esercitata da un fluido in quiete sull’unità di superficie con cui è a contatto normalmente a essa. Il valore di questa pressione dipende esclusivamente dalla densità del fluido e dall’affondamento del punto considerato dal pelo libero o, in linea più generale, dal piano dei carichi idrostatici (secondo la legge di Stevino). Esso dunque è indipendente dalla massa sottostante il punto considerato. Come definito da Pascal che ricreando l’esperimento di Torricelli, mettendo dell’acqua in un recipiente forato e spingendola verso il basso vide che l’acqua usciva con stessa intensità e velocità.

Descrizione

Si può dunque stabilire che la sua formula sia:

p = ρgh

dove:

  • p è la pressione statica (Pa)
  • ρ (rho) è la densità del fluido (gas o liquido) (Kg/m3)
  • g è l’accelerazione di gravità (nel caso della terra: 9,81 m/s2)
  • h è l’altezza del punto considerato (m)

Secondo gli studi di Stevino, e ancor prima di Galileo nasce il principio dei vasi comunicanti: in recipienti (vasi) collegati tra loro (comunicanti), contenenti lo stesso liquido in quiete, il livello della superficie libera è uguale, indipendentemente dalla forma dei contenitori.

In conseguenza a quanto detto finora, si hanno delle superfici isobare, cioè a pressione costante, orizzontali. L’andamento delle pressioni è detto “triangolare” perché, essendo la pressione direttamente proporzionale all’affondamento del punto, si ha un aumento costante e lineare del valore della pressione. Volendo rappresentare questo andamento in un sistema di assi cartesiani, il risultato sarebbe una retta che forma un angolo con la direzione positiva dell’asse delle ascisse che rappresenta la densità del liquido (all’aumentare della densità aumenta l’inclinazione della retta e quindi a variazioni uguali di affondamento si hanno aumenti di pressione maggiori).

Nel caso in cui ci siano due o più fluidi non miscibili e con densità differenti, la pressione idrostatica è rappresentata dalla somma delle pressioni provocate dai diversi fluidi. Ad esempio la pressione assoluta applicata al fondo di un recipiente pieno d’acqua a contatto con l’atmosfera è la somma della pressione atmosferica e della pressione relativa all’acqua presente nel recipiente. In questo caso si possono considerare separatamente gli effetti dei due fluidi o si può immaginare la superficie come sottoposta alla pressione di un solo fluido (considerando in essa anche la pressione dell’altro fluido rapportata al primo). Nell’esempio precedente, sapendo che l’atmosfera terrestre provoca una pressione pari a circa 10,33 metri di colonna d’acqua, possiamo sommare all’affondamento del punto questa quota e calcolare così la pressione assoluta nel punto considerato.

La PRESSIONE ONCOTICA è la pressione osmotica esercitata da soluzioni colloidali.

In medicina e fisiologia il termine si riferisce alla pressione causata dalle proteine (come l’albumina prodotta dal fegato) presenti in soluzione nel plasma sanguigno. In condizioni normali il suo valore è 20 mmHg (28 mmHg a livello sanguigno – 8 mmHg opposta a livello tissutale) ed è in grado di determinare il movimento di liquido attraverso le membrane dei capillari, e in particolare nel glomerulo renale.

In generale, la differenza tra pressione oncotica e pressione idrostatica a livello dell’estremità arteriosa dei capillari favorisce il passaggio nello spazio extracellulare di acqua, elettroliti e alcune proteine del plasma. La minore pressione idrostatica che si ha a livello delle estremità venose dei capillari (data tra le altre cose dalla diminuzione della velocità del sangue) e la costante pressione oncotica inducono, invece, un riassorbimento nel circolo sanguigno di acqua, di elettroliti e dei prodotti del catabolismo dei tessuti.

La PRESSIONE OSMOTICA è una proprietà colligativa associata alle soluzioni. Quando due soluzioni con lo stesso solvente, ma a concentrazioni diverse di soluto, sono separate da una membrana semipermeabile (cioè che lascia passare le molecole di solvente ma non quelle di soluto), le molecole di solvente si spostano dalla soluzione con MINORE concentrazione di SOLUTO (quindi maggiore concentrazione di solvente) alla soluzione con MAGGIORE concentrazione di SOLUTO (quindi minore concentrazione di solvente), in modo da UGUAGLIARE (o meglio, rendere vicine) le CONCENTRAZIONI delle DUE SOLUZIONILa pressione che occorre applicare alla soluzione affinché il passaggio del solvente non avvenga è detta appunto “pressione osmotica”.

 

Un SOLVENTE è un liquido che scioglie un soluto solidoliquido o gassoso, dando luogo ad una soluzione. In altre parole, un solvente è il componente di una soluzione che si presenta nello stesso stato di aggregazione della soluzione stessa.[1] Il solvente più comune è l’acqua. Il solvente è quella sostanza presente in maggior quantità in una soluzione.

I solventi in genere hanno un basso punto di ebollizione ed evaporano facilmente o possono essere rimossi per distillazione, lasciando ciò nonostante la sostanza disciolta intatta. I solventi non dovrebbero dunque reagire chimicamente con il soluto (ovvero devono essere chimicamente inerti). I solventi possono anche essere utilizzati per estrarre composti solubili da un miscuglio.

I solventi sono solitamente liquidi chiari e incolori e spesso presentano un odore caratteristico. La concentrazione di una soluzione è l’ammontare di composto disciolto in un certo volume di solvente. La solubilità è l’ammontare massimo di composto solubile in un certo volume di solvente a data temperatura.

Il termine solvente organico si riferisce ai solventi che sono composti organici. Usi comuni dei solventi organici sono nel lavaggio a secco (es. tetracloroetilene), come colle (es. acetoneacetato di metileacetato di etile) come rimotori di macchie (es. esano), nei detergenti, profumi e soprattutto nelle sintesi chimiche.

 

È definito SOLUTO il composto che contribuisce a far parte di una soluzione assieme al solvente. In particolare il soluto è il componente della soluzione il cui stato di aggregazione è differente da quello della soluzione stessa.[1]

In genere si intende come soluto un composto liquidosolido o gassoso uniformemente disperso in forma ionica in un solvente liquido: questa definizione è però controversa, in quanto almeno nel campo della METALLURGIA si parla di soluzione solida, ossia di solidi disciolti durante una precedente liquefazione degli stessi e successivamente solidificati.

Nei casi più comuni, in cui il solvente è acqua ed il soluto è un solido, viene detto soluto il solido uniformemente disperso, e passato in fase liquida. In tal caso il soluto si presenta in forma ionica nella soluzione.