Nanoparticelle, premio internazionale il duo Gatti-Montanari ai vertici mondiali

microscopio

La dottoressa Antonietta M. Gatti andrà a ritirarlo in Cina, a Chengdu, l’importante riconoscimento assegnatole della International Union of Societies for Biomaterials Science and Engineering. Se in Italia lei e il marito Stefano Montanari si sono visti creare un inspiegabile cordone sanitario intorno alle loro ricerche sulle NANOPATOLOGIE, gli scienziati di mezzo mondo (sia dell’UE che da Canada, USA, Cina, Giappone, Corea, India, Australia) hanno deciso di premiare il suo contributo nel campo delle Scienze dei Biomateriali e di Ingegneria nominandola Fellow dello IUSBSE.

Leggendo il curriculum di Antonietta Gatti non c’è da sorprendersi: una vita passata a studiare gli effetti delle polveri sottili e ultrasottili inorganiche e non biodegradabili (quelle che comunemente chiamiamo PM10), con una CARRIERA da Visiting Professor all’Institute for Advanced Sciences Convergence (al Dipartimento di Stato americano), Membro del Comitato Scientifico Nazionale del Ministero della Difesa (CPCM), Consulente della Commissione governativa sull’uranio impoverito e le malattie correlate, Coordinatore del Progetto chiamato INESE Commission dell’Istituto Italiano di Tecnologia di nanoecotossicologia.

Da qualche anno, a sostenere la dottoressa Gatti nel suo percorso di ricerca c’è l’associazione “Vita al Microscopio”, nata proprio per tutelare la ricerca sulle nanopatologie portata avanti dai due scienziati-coniugi italiani all’indomani della sottrazione del super-microscopio necessario per i loro studi e del prepensionamento imposto alla Gatti dall’Università di Modena e Reggio Emilia.

Le nanotecnologie rappresentano il futuro della ricerca scientifica: le possibili applicazioni sembrano essere infinite, dall’informatica al campo sanitario. Si tratta di manipolazione della materia a livello ridottissimo, su una scala dimensionale inferiore al micrometro.

Ma se da una parte le prospettive di applicazione di queste tecnologie rappresentano una scommessa di progresso e per molti anche di profitto, dall’altro è necessario tenere alta la guardia sui rischi che le nanoparticelle possono comportare per la salute umana. E il merito di aver messo in guardia su questi rischi e sulle “nanopatologie” è proprio di Antonietta Gatti e di suo marito. Attraverso il loro studi sono riusciti a collegare l’insorgenza di forme tumorali con l’esposizione a nanoparticelle, a partire dalla cosiddetta “sindrome dei Balcani” che ha colpito tanti dei reduci della guerra in ex Jugoslavia esposti alle polveri sottili dell’uranio impoverito, con applicazioni importanti nell’ambito dell’inquinamento ambientale.

Un futuro, quello della ricerca sull’infinitamente piccolo, che apre grandi opportunità ma che non deve farne sottovalutare i rischi. Per questo, l’onorificenza alla studiosa italiana, non può che rappresentare un’importante segnale di attenzione da parte della comunità scientifica internazionale.